Quando siamo arrivate, otto anni fa, era praticamente spacciato. Per buona metà secco. Si trovava, per sua disgrazia, sul ciglio della spianata davanti a casa: quando la ruspa, nel suo lavoro di movimento terra, raccolse nella benna detriti e altro materiale da collocare altrove, involontariamente strappò anche parte delle sue radici. Era rimasto là, con le radici semidivelte ed esposte all’aria. Poi, l’estate torrida e secca. Ogni giorno che passava, sembrava peggiorare. Più di una persona, passandogli davanti e guardandolo con commiserazione, ci disse: “Non passerà l’inverno. Vi conviene toglierlo prima. È troppo malridotto”. Noi invece lasciammo che il povero albero avesse il suo decorso naturale.
Passò un inverno; passò il secondo inverno. L’albero sembrava immobile, fermo nella sua situazione di stasi, sospeso quasi tra la voglia di riprendersi, di rinverdirsi, e la necessità di rimanere così. Almeno fino a quando le sue radici non avessero trovato un altro percorso sotto terra.
Poi, il tempo della dimenticanza. Non ci curammo più di lui.
Finalmente, arrivò un Natale. Forse il quarto, o il quinto…
Ci servivano rami verdi per decorare la Casa…: ma dove trovarli, in pieno dicembre, dei rami verdi?
Erano proprio davanti a noi: allora ce ne accorgemmo. Aperta la porta di casa, l’albero, dopo un tempo lungo, prima di stasi, poi di siccità, infine di dimenticanza, si era ripreso. E ora stava davanti a noi, silenzioso e possente, senza orgoglio né rivalsa, semplicemente vivo; e, generoso, ci offriva senza ritrosia i suoi rami sempreverdi. Decorammo la portineria con quei rami: un segno di festa e di accoglienza per chiunque saliva.
Il nostro albero resiliente… sempreverde, anche in tempo di siccità; vivo, benché lo pensassimo già morto.
Resilienza… parola intrigante…
La vita ci può far ritrovare così: come quell’albero davanti a casa, con le radici all’insù, o meglio, con le gambe all’insù. Disarcionati dalla normalità.
Di fronte ad un lutto che ci si abbatte addosso improvviso; ad una malattia che ci toglie il consueto di cui sono intrise le nostre giornate; di fronte ad una insormontabile fatica sul posto di lavoro, smettiamo di ragionare con le nostre categorie di monotonia e ripetitività: vorremmo nostalgicamente tornare al normale, all’ovvio tran tran di tutti i giorni, ora finalmente consapevoli della sua infinita preziosità, ma non lo possiamo più. Quell’evento che ci ha visitato, ha sparigliato tutte le nostre carte.
Restiamo in un’atmosfera di sospensione, dove nulla di ciò che ci è noto può farci da ancoraggio.
Che fare? Arrabbiarsi, lamentarsi? Anche. Ma la rabbia dà un sollievo solo momentaneo. E il lamento, se lì per lì fa provare la sensazione dello sfogo, poi può far risucchiare nella sua spirale di dolore. Un dolore che non smette di autoalimentarsi.
C’è un’altra strada. Ed è proprio quella della resilienza. Che significa, concretamente, rimanere lì dove si è, così come si è, accettando proprio quella situazione particolarissima ed eccezionale che si sta vivendo. Attraversando i tornanti dell’amarezza, della rabbia, dell’avvilimento, ma senza sostare in essi…
Resilienza è la capacità di affrontare le avversità, rimanendo se stessi.
La rabbia ci deforma: guasta dentro il pensare e il sentire; il rancore ci rende meno umani, ci inselvatichisce. La resilienza invece… ci stagiona: proprio come un legno che viene portato a stagionatura diventa migliore, così la resilienza ci rende paradossalmente più morbidi, meno intransigenti, meno duri… più morbidi dentro, quindi capaci di una comprensione altrimenti difficile da partorire. Un occhio benevolo verso gli altri, la vita, se stessi viene sviluppato attraverso la resilienza. Ottiche, prospettive nuove, vedute ulteriori, prima minimamente sospettate né immaginate….
La letteratura, ma anche la storia, annovera tanti esempi di resilienza; uomini e donne che ci affascinano; che non solo ci avvincono, ma anche ci convincono, non perché siano stati eroi vincenti e stravincenti, ma perché hanno saputo con gli umili arnesi della loro umanità, affrontare le avversità e superarle, dando ad esse un senso.
Le infinite peripezie di Ulisse; i manzoniani Renzo e Lucia; ma anche navigatori ed esploratori di nuovi mondi, come Magellano; uomini politici, come, in tempi a noi vicini, Alcide De Gasperi; Primo Levi, testimone sopravvissuto agli orrori dei lager; il vescovo vietnamita Van Thuan, che negli anni di isolamento carcerario ha trovato il coraggio, non privo di humour, di convertire i suoi carcerieri; la giovanissima Anna Frank, che nel clima di persecuzione nazista patito non si lascia rubare i sogni della sua giovinezza, e coltiva il suo fresco innamoramento fino alla fine.
È proprio della resilienza saper attendere, e colorare di tutto il suo valore questo verbo, così difficile da vivere bene…
A ben considerare, resilienza è soprattutto, primariamente, virtù femminile. Forse per quell’innata propensione a custodire la vita,difenderla, promuoverla, accompagnarla, scritta come “vocazione nella vocazione” nel DNA di ogni donna…
Possiamo ripercorrere la vicenda di Maria, Madre del Signore, narrata nel Vangelo, in termini di resilienza. La vita non fu certamente molto generosa con lei, non risparmiandole nulla: incomprensioni; persecuzioni; emigrazione; povertà, e quel figlio che si distanziava progressivamente da lei, e che lei vedeva osteggiato senza poterlo difendere… fino alla misura massima di resilienza: stare sotto la Croce del Figlio.
Nella storia di Agostino, decisiva, per la sua resilienza piena di fiducia e di femminile insistenza, è stata la madre, Monica. Dietro la conversione di Agostino, per diretta affermazione di lui, c’è una resilienza di anni da parte della madre. “Madre coraggio” ante litteram, Monica di Tagaste. Coraggiosa nel suo desiderare il bene per il figlio Agostino. E il bene, per Monica, non aveva il nome di una buona carriera, fosse anche il primo posto come retore dell’Impero, posizione che pure Agostino raggiunse; non aveva nemmeno il nome di una famiglia onesta e di nipoti, la prima e i secondi tanto desiderati da lei. Il bene che Monica chiese, per anni e anni, e ottenne con le sue preghiera e le sue lacrime, fu di vedere il figlio cristiano.
«Lei mi partorì con la sua carne alla luce del tempo e a quella dell’eterno col suo cuore» (Conf. 9, 8,17): Agostino ci lascia questa testimonianza riconoscente della madre, e aggiunge:
«Aveva allevato figli, partorendoli di nuovo ogni volta che li vedeva allontanarsi da te, o Dio» (Conf. 9,9,22).
La resilienza, componente di una generatività portata avanti per tutta la vita: e non solo verso i figli, specie Agostino, ma anche verso il marito, Patrizio, pagano e infedele alla moglie; anche verso questo coniuge difficile, un atteggiamento carico di attesa, pazienza, fiducia: «Aspettava che su di lui scendesse la tua misericordia, o Dio, e con la fede gli desse un po’ di castità. (…) Finalmente guadagnò a te, mio Dio, anche il marito, già quasi al limite estremo di questa vita temporale: e in lui che ormai era credente non rimpianse ciò che aveva tollerato nel miscredente…» (Conf. 9, 9,22).
Ma nella vicenda di Monica, la resilienza l’ha anche educata a rendere più maturo il suo amore verso il figlio Agostino, liberando questo sentimento scritto nelle viscere materne dalle scorie e dagli eccessi della possessività. Emblematico e cruciale il momento in cui il giovane Agostino decide di lasciare l’Africa per venire in Italia, in cerca di maggiori gratificazioni professionali, contro la volontà della madre. Fuggì di nascosto, lasciandola sulla spiaggia a piangere disperatamente.
«(Monica) amava avermi con sé, come tutte le madri, ma molto più della maggioranza di loro; e non sapeva quali gioie tu, o Dio, le avresti fatto nascere dalla mia assenza. Non lo sapeva, e perciò si scioglieva in gemiti e singhiozzi…. e però dopo aver maledetto la mia slealtà e crudeltà ricominciò a supplicarti per me: lei se ne andava di nuovo alla sua solita via, io a Roma…» (Conf. 5, 8,15).
La vita, prima o poi, ci dà appuntamento in modi che noi non vorremmo. Coltivare la disposizione della resilienza nei piccoli contrattempi o “fuori programma” di ogni giornata, aiuta a non restare spiazzati quando qualcosa di troppo grande si impone a noi.
Un ultimo esempio, splendido, di resilienza, è Paolo, l’apostolo. La sua vita: un’appassionata corsa per portare il Vangelo, diffonderlo, comunicarlo. In condizioni di resilienza estrema.
In una pagina da brividi, ancor più emozionante nell’originale greco, egli ci consegna le sue vicende tutte intrise di uno spirito di resilienza dal ritmo pasquale:
«…Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati;
siamo sconvolti, ma non disperati;
perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi,
portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù,
perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo…» (2Cor 4, 8-10).
E poco più oltre così incalza:
«…siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri;
sconosciuti, eppure siamo notissimi;
moribondi, ed ecco viviamo;
puniti, ma non messi a morte;
afflitti, ma sempre lieti;
poveri, ma facciamo ricchi molti;
gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2 Cor 6, 8-10).
Paolo, il sempreverde, anche da prigioniero.
Come il nostro albero davanti a casa: vivo, semplicemente…
Commenti(12)
Cinzia dice
1 Agosto 2017 alle 13:49Che bella lezione di vita! L’albero, certo, ma soprattutto Monica, che non conoscevo così vicina al mio atteggiamento di madre.
Cristina dice
1 Agosto 2017 alle 15:12Niente male il sempre verde! Magistrale opera della Grazia! Ciao! Vi ricordo con affetto.
p. Giuseppe Rombaldoni dice
1 Agosto 2017 alle 15:13Bello come sono belle tutte le cose o gli scritti che mi mandate. Sono graditissimi; grazie
francesco dice
1 Agosto 2017 alle 15:42Grazie dal profondo del cuore; siamo chiamati a non avere tutte le soluzioni in tasca,già preconfezionate, ma a cercare. Lo stesso credere è un verbo dinamico, bisogna sempre muoversi, sempre cercare, proiettarsi, pescare; lavorare il campo, curare, scoprire sempre, camminare sempre rimanendo sempreverdi, tirar fuori dal terreno che è la nostra esistenza cose nuove e cose antiche.
A presto.
francesco e gabriella
Laura dice
1 Agosto 2017 alle 16:03Grazie del bello scritto su la resilienza. Anche il caldo di questi giorni si sopporta meglio mettendo in atto un po’ di resilienza eh eh
Giuseppe Mustaro dice
1 Agosto 2017 alle 16:17Grazie per l’approfondimento
Daniela Falcioni dice
1 Agosto 2017 alle 23:30Grazie per queste storie di resilienza. Ad esse aggiungi la definizione di resilienza che propongo agli studenti del corso di Etica sociale: “Con resilienza si intende la capacità di una persona di RIPRENDERSI e di usare le difficoltà e/o le ferite come occasioni attraverso le quali trasformare positivamente la propria identità e accrescere la propria umanità “. Ma siccome la definizione è troppo lunga, propongo agli studenti una sintesi: “La persona resiliente si piega, ma non si spezza”.
Giulio dice
2 Agosto 2017 alle 10:20Sorelle care, quanta dottrina e quanta esperienza nella vostra nota! Vi ritrovo una certezza: c’è un soffio di Dio in noi, che ci regge, soprattutto, nelle angustie. La Fede e la Preghiera lo terranno vivo.
Carmelina Graziano dice
2 Agosto 2017 alle 11:17Ancora una volta i vostri scritti hanno raggiunto il mio cuore, illumunandomi e facendomi ben sperare che i pensieri che sovente albergano nella mia testa non sono utopia, ma cose ben più grandi che dovremmo imparare a condividere. Grazie.
Tonino dice
3 Agosto 2017 alle 8:11Grazie sorelle in Cristo Gesù. Condividere con voi questa lettura è stata un’immersione di emozioni. All’interno c’è tutto: la vita è quello che si attraversa durante la nostra esistenza, in simbiosi con la natura (l’albero). Grazie ancora per averci fatto vivere un momento di spiritualità profonda arricchita dagli scritti di Agostino e dalla parola del Vangelo. Che Dio vi benedica. Tonino e Carmelina. Restiamo in resilienza preghiera.
Giuseppe Maringolo dice
3 Agosto 2017 alle 18:32Semplicemente sublime per l’anima…. ci guida in silenzio verso la meditazione la contemplazione facendoci vivere momenti di grazia.
Un infinito grazie con gli occhi socchiusi ed una mano sul ❤
Rocco Ditaranto dice
5 Agosto 2017 alle 12:00grazie per quanto mi avete offerto e sono riuscito a capire, credo di dover capire ancora molto, la vita è un crescendo di conoscenza, la preghiera mi aiuta sia nelle difficoltà che nelle cose facili e belle, ogni giorno mi insegna a donare e non so come, mi ritorna tutto molto più.