Si aprì quel cancello di ferro e davanti ai miei occhi comparve un manipolo di monache in tenuta da lavoro, arrampicate sugli ulivi o piegate sulle reti a raccogliere il prezioso raccolto.
Avevo 24 anni e non avevo mai partecipato alla bacchiatura delle olive. Ero ospite presso la foresteria del Monastero durante una delle mie soste a Lecceto prima dell’ingresso in Comunità; le monache mi ammisero nello spazio dell’oliveto e fui felice di ritrovarmi improvvisamente tra la manodopera qualificata delle raccoglitrici.
Tre o quattro sorelle per ciascun albero erano alacremente impegnate a cogliere i piccoli frutti e mi divertiva osservare come ognuna di loro versasse poi il suo cesto carico nel contenitore comune, come fosse bello quel momento di lavoro insieme tra i silenzi e qualche fraterno scambio di battute, suscitate da qualche episodio di scale incastrate tra i rami o di “pettini” impigliati tra le foglie.
Assaggiai, per pura curiosità, un’oliva appena colta, e per un paio d’ore non riuscii a togliermi l’amaro dalla bocca. Che differenza dal gusto intenso e quasi pizzicante dell’olio che se ne ricavò e che poi potei assaporare!
In mezzo c’era stato il torchio, la spremitura… Quel ritrovarsi di un frutto accanto all’altro sotto la macina che pigia e fa uscire il meglio di ogni singola oliva!
L’immagine del torchio si riflette nei momenti di “spremitura” che incontriamo nel corso della vita: passaggi stretti che dobbiamo attraversare e nei quali ci sembra di essere semplicemente schiacciati da una macina che, di volta in volta, assume nomi e connotazioni differenti: una malattia, una delusione, un’incomprensione con la persona che ami, una difficoltà che sembra insormontabile al lavoro, un’accusa ingiusta, contrarietà, complicazioni, rapporti lacerati…
Che fatica! Non sapere come venirne fuori e, insieme, forse anche l’immancabile esperienza di sentirsi soli, in uno stato di sospensione e di buio fitto.
Questo è il torchio, certamente doloroso fino a togliere il fiato e a volte anche la lucidità.
Mente e cuore sono pigiati e non si riesce a cogliere subito che frantumazioni e spaccature possono nascondere risvolti di bene.
Eppure è dentro al torchio che avviene la maturazione; è per la via del torchio che otteniamo l’olio buono.
Dentro alle situazioni che di primo impatto rifiutiamo e a cui “naturalmente” ci ribelliamo, si nasconde in fondo la possibilità per ottenere l’olio buono di ciò che siamo…
Senza le difficoltà non conosceremmo le nostre risorse per affrontarle, non scopriremmo la forza della vita che pulsa dentro di noi, il desiderio più vero che ci anima, la volontà di dare il meglio di noi stessi, fino in fondo, comunque e sempre.
Affrontare, non subire, il torchio è una scuola di sapienza, una riserva inesauribile che ci scava dentro e che ci fa diventare olio, permettendoci di lasciare la sansa con i nocciolini, di ritrovarci un po’ più puri… Una riserva “extra” che prima non avremmo potuto immaginare!
Infatti ci sono torchi che contribuiscono a renderci quello che avremmo voluto essere e che abbiamo inutilmente provato a diventare da noi stessi, con le sole nostre forze, ma che ora, in quella “nostra” personalissima prova, comincia a prendere forma in noi.
Ecco allora le prime gocce di coraggio, di pazienza, di verità con noi stessi, di maturità, di (nominiamola senza timori) vera umiltà che ci fa vedere le fatiche degli altri senza più giudizi o critiche amare ma con compassione, con “cuore vergine”, capace di accostare con rispetto e premura chi si trova nel torchio, pigiato insieme a noi.
«Finché stanno sull’albero, – scriveva Agostino -, uva e olive si godono, per così dire, la loro aria libera; e l’uva non è vino né l’oliva è olio finché non vengano ad essere spremute. …Gesù ci appare, soprattutto nella passione, come un grappolo di grandi proporzioni che viene spremuto» (Esposizione sul salmo 83,1).
Ne esce un puro concentrato di amore.
Anche le nostre spremiture non sono per la morte, …ma per la vita!
Commenti(9)
Carmelina Graziano dice
27 Novembre 2017 alle 12:30Bellissimo. E’ davvero così? Quindi dobbiamo sperare di finire in un torchio per poter fare uscire il meglio di noi stessi? Quindi il torchio è una benedizione? Signore ti prego affinchè possa capirlo quando sono dentro a questo torchio dal quale esce vita.
Silvana dice
27 Novembre 2017 alle 13:14Ho sperimentato il torchio. Ero disperata;ma sapevo di non essere sola e che,alla fine,ne sarei venuta fuori cambiata. Chi mi torchiava sapeva di non lavorare inutilmente. Il mio cuore è diventato più morbido,più capace di comprendere l’altro, che era torchiato con me. L’olio condisce, conserva,ammorbidisce.
Fabio S. dice
27 Novembre 2017 alle 13:17Nei momenti stretti della vita siamo portati, di primo istinto, a vederci un limite; la vera sapienza, però, è saperne cogliere l’opportunità
don Giuseppe dice
27 Novembre 2017 alle 13:31Contemplare la Croce è un momento per riflettere, viverla personalmente è la prova di quanto Cristo mi ama. Un profondo grazie per l’aiuto spirituale che voi Monache ci offrite insieme a S. Agostino.
Cesare dice
27 Novembre 2017 alle 14:21In eo quod amatur, aut non laboratur, aut et labor amatur.
Quando si ama, non si si fatica, o, se si fatica, questa stessa fatica è amata. (De bono vid. 21, 26).
francesco dice
27 Novembre 2017 alle 16:48Straordinaria meditazione di vita e di fede, semplicemente sorprendente, un forte abbraccio francesco e Gabriella
Cinzia dice
27 Novembre 2017 alle 20:29Grazie, di queste riflessioni, di questo stupore, di queste immagini ridenti e gioiose di…grappoli di monache appese a raccogliere olive.
Enza dice
30 Novembre 2017 alle 6:34Sperimento la raccolta delle olive quasi ogni anno e non vi dico che è faticoso…ma sentire il profumo delle olive acerbe dai mille colori e poi pensare all’olio che ne esce fuori col suo profumo di buono passano le fatiche ….chi lavora con amore non sente affanno e chi accudisce una persona ammalata e fa di tutto affinché questa possa ritornare come era prima è la stessa cosa .. l’amore vince la fatica
Daniela Falcioni dice
2 Dicembre 2017 alle 18:06Grazie