Il cammino attraverso il mare

Questo tempo di Quaresima ha fatto il giro di boa: ormai ci siamo messi alle spalle metà del cammino.

Proponiamo di sostare, di fare un “fermo immagine” su una scena potente e drammatica, una delle pagine più forti di tutta la Bibbia: l’attraversamento del Mar Rosso.

Prima di addentrarci in questa scena, riavvolgiamo per qualche istante il nastro. Mosè si era presentato dal faraone d’Egitto per chiedergli di lasciar partire il popolo d’Israele, ma ostinatamente il faraone aveva negato il permesso: gli Israeliti costituivano una forza lavoro imprescindibile per gli Egiziani, e sarebbe stata una perdita economica disastrosa la loro partenza. A nulla valgono i segni potenti compiuti da Mosè per convincere il faraone a lasciar partire gli Israeliti; ma dopo la terribile piaga della morte dei primogeniti, il faraone, privato in prima persona del suo figlio primogenito, convoca Mosè e gli intima di lasciare subito il paese, insieme a tutto il popolo d’Israele, bestiame compreso.

Il popolo parte, in tutta fretta, e nella sua marcia verso la libertà giunge ad accamparsi presso il mare. A questo punto ecco il dramma: ascoltiamo direttamente dalla Bibbia il racconto di ciò che accade:

«Quando fu riferito al re d’Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: «Che abbiamo fatto, lasciando partire Israele, così che più non ci serva!». Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati. Prese poi seicento carri scelti e tutti i carri di Egitto con i combattenti sopra ciascuno di essi. Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re di Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata» (Es 14, 5-8).

Il faraone ci ripensa: si fa i suoi conti e, nonostante il dolore per la perdita del figlio, sembra fargli più male il dolore per la perdita economica che gli sarebbe derivata dalla partenza degli Israeliti; non ci pensa su due volte e attacca il cocchio, raduna l’esercito e si pone al galoppo all’inseguimento di Mosè e del popolo, che invece procedeva a piedi.

«Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso il mare: tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito si trovarono presso Pi-Achirot, davanti a Baal-Zefon. Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani muovevano il campo dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore» (Es 14, 9-10).

Si sta consumando un vero e proprio dramma per Mosè e il popolo d’Israele, che si trovano al centro di una scena tremenda: da una parte il mare, con lo sciabordio delle onde che andavano a infrangersi calme a riva; dalla parte opposta, il rumore crescente dello scalpitio dei cavalli e dei cocchi dell’esercito egiziano: sempre più incalzante, sempre più riconoscibile, sempre più vicino.

Che fare? La paura prende il sopravvento, l’angoscia si fa sentire come una stretta al collo sempre più soffocante.

Ogni via d’uscita sembra preclusa. Non rimane possibilità di scampo; a meno che non si pensi di tentare una resistenza, pur debole ma almeno eroica; oppure, ci sarebbe sempre la possibilità, certo meno eroica ma tutto sommato ragionevole, di arrendersi e di tornare indietro, a fare gli schiavi degli egiziani come prima.

In quelle ore concitate la paura si trasforma in un grido sempre più forte rivolto a Dio.

E Mosè?

In quelle ore drammatiche, anche dentro di lui si sta consumando un dramma; avrà ripensato ai suoi quarant’anni da forestiero nella terra di Madian, a fare il pastore del gregge del suocero; avrà ricordato quell’incontro misterioso eppure vero, realissimo, con Dio nella fiamma del roveto, là fra le rocce del monte Oreb, oltre il deserto, dove lui si era arrampicato a fatica; e poi il suo ripresentarsi davanti al faraone, con quella richiesta audace, esagerata: “Lascia partire il popolo!”.

Fidarsi di Dio in quell’ora cosa significava? Era come inoltrarsi nell’incognito, e rimanere come sospesi in quell’incertezza.

Ed ecco che, mentre nel suo cuore si alternano paura e coraggio, la voce di Dio lo scuote:

«Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri» (Es 14, 15-18).

Come dare credito alla parola che gli dice di proseguire il cammino, inoltrandosi nel mare? Una vera e propria assurdità! Non esistono strade nel mare…

Non è facile restare aggrappati a quella parola; non è facile fidarsi in quel momento estremo, dove si gioca il tutto per tutto: la vita o la morte; la libertà o la schiavitù per sempre. Mosè sceglie fra tutto e niente. E sceglie tutto: sceglie la libertà:

«Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore, durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra» (Es 14, 21-22).

La mano di Mosè è la mano di un anziano, ottantenne; possiamo immaginarla debole e tremante, tutt’altro che vigorosa. Eppure col gesto di stendere la mano Mosè in fondo si consegna a Dio, accettando di non comprendere tutto, di non sapere come andrà a finire. Siamo abituati a questo punto a scene hollywoodiane, dove il mare si squarcia in due in maniera spettacolare; probabilmente le cose sono andate diversamente, e quella che si è aperta passo dopo passo sotto i piedi di Mosè e del popolo altro non è stata che una piccola lingua di terra. Piccola, ma sufficiente per solcare il mare. Attraversarlo. Superarlo. Andare al di là di esso.

 

Quando ci sentiamo inseguiti dai “faraoni” di turno, con le loro minacce, le loro lusinghe, il loro chiasso, sarebbe sbagliato rimanere paralizzati, come pure tornare indietro. L’unica via d’uscita consiste nel proseguire il cammino, inoltrandosi proprio nell’incognito: lì, nel mare sconosciuto che abbiamo davanti a noi, con tutta la complessità che vi nuota dentro, Dio ci provvede una piccola strada tutta da percorrere. La salvezza non è mai al di là del mare, ma è sempre attraverso il mare.

La strada della Pasqua non è al di là della storia, e nemmeno fuori della storia; la strada della Pasqua si inoltra nel mare della storia col passo della fede. Accettando di assaporare il gusto dell’incognito, dell’incerto, e che il cammino si apra solo poco a poco, un passo dopo l’altro.

«In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo servo Mosè» (Es 14, 30-31).

Alla mano debole e tremante di Mosè risponde la mano potente di Dio: al gesto piccolo dell’uomo che fidandosi si protende oltre se stesso, risponde Dio tracciando un sentiero di vita: perché Lui è specialista nell’aprire strade nel mare.

 

 

 

 

Commenti(4)

  1. Franco e Luciana dice

    Grazie e Buon cammino di quaresima

  2. Don Silvio dice

    Bello il gesto dell’ottantenne Mosè che tende la mano con fiducia e si affida a Dio pur non conoscendo come andrà a finire. Grazie!

  3. Luigina Seren dice

    Anche noi come Mosè , dobbiamo affidarci a Dio , della sua misericordia. Perché anche noi pellegrini sulla terra affrettiamo nella speranza il nostro cammino per la salvezza.

  4. Sr. M. Elena dice

    Grazie. E’ la nostra vicenda di ogni giorno. Siamo nel mare, ma possiamo seguire quella piccola lingua di terra che ci conduce alla terra promessa lungo un itinerario che non scegliamo noi.

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