LACRIMAE – 23 aprile 2020
Ognuno di noi ha un suo modo per trattenere la memoria delle date notevoli, delle svolte importanti nella propria vita. Quali sono i segni che ti aiutano a marcare i momenti significativi attraversati?
I “segnalibri” di Agostino, quelli con cui ritrovava le pagine cruciali della sua avventura di uomo e di credente, erano le sue lacrime. Le sue Confessioni sono il grande libro delle lacrime: per la morte dell’amico carissimo, quando aveva vent’anni; lacrime, quando si riconosce uomo senza cuore, incapace di fare, da solo, il salto della fede, di arrendersi a Dio che lo aveva conquistato; lacrime, per la morte della madre Monica, la donna forte che aveva tanto pianto e pregato per lui; fino alle lacrime sparse negli ultimi giorni, mentre si preparava all’incontro faccia a faccia con Dio, pregando i salmi penitenziali.
Le lacrime, diceva, sono il sangue del cuore. Rivelano che siamo stati raggiunti lì dove forse credevamo di essere inarrivabili: nel nostro punto più vero e disarmato.
Le lacrime, aggiungeva lui, sono come una semina di vita eterna: domandano quella vita di cui proprio in certi passaggi dell’esistenza sentiamo la sete, e che non ci diamo da soli, ma rimane puro dono.
Non dobbiamo vergognarci delle nostre lacrime. Piuttosto, affiniamo l’ascolto per comprenderne la voce.
DILECTIO – 22 aprile 2020
Se pensi che alle tue passioni capricciose ed eccedenti non ci sia altro rimedio che tenertele come sono, ti sbagli. Se credi di cavartela con un mediocre: “Ma che male c’è, in fondo?”, non le hai ancora capite.
Agostino: un concentrato di passioni forti, anche eccessive, sempre a puntare al massimo: il massimo negli affetti; il massimo nella carriera, il massimo nella realizzazione personale. Ma trattate così, le sue passioni lo rendevano infelice. Profondamente. Perché il problema non sono le passioni, ma come vengono trattate. A poco a poco Agostino cominciò a riflettere su quel senso di disgusto che lo accompagnava, nonostante fosse arrivato al top della carriera, fosse amato e avesse anche un figlio. Iniziò a dare ascolto a quel senso di insoddisfazione che gli bruciava dentro. Si fece coraggio e andò a cercare chi avesse il fegato di ascoltare i suoi sfoghi. Trovò un sacerdote disposto a dare tempo alle sue domande importanti e difficili. Poi aprì il libro della Scrittura, e si fece aiutare per comprenderlo. Ebbe l’umiltà di farsi aiutare. L’umiltà è delle persone davvero grandi.
E così le sue passioni a poco a poco vennero educate, ricevettero una forma. Ripulite da tutto il guasto che vi si era depositato sopra. A poco a poco le passioni si trasformarono in dilectio: un amore, al singolare; un amore sereno, intenso, che aveva trovato il suo centro verso il quale muoversi con libertà, pienezza, gaudio di tutto l’essere. E la vita di Agostino divenne canto. Umile e dolce. Il canto della dilectio, dell’amore appassionato, non più passionale. Dell’amore umile, non più impetuoso. Dell’amore di Dio e del prossimo, anteposti all’amore di sé.
ITER – 21 aprile 2020
Tra quattro giorni celebreremo la festa della Conversione di Sant’Agostino: ci vogliamo preparare con alcune parole a lui molto care, cominciando da questa.
Iter, dunque cammino. Come la vita. Con tutto quello che comporta: disagi; precarietà; rischi; fatiche; sbagli di strada; …vesciche ai piedi, anche; … e finalmente la meta!
Se stai fermo, se non ti muovi, non cresci, non incontri, non cambi; diceva Agostino: «È camminando che cresciamo, ed è progredendo che camminiamo».
Il cammino rimanda a spazi aperti, sconfinati. Ma quando si è confinati in casa? Il cammino continua: non in estensione, ma in profondità. Andando ad esplorare dentro di sé, per scoprirvi la presenza di Dio. Che scenari ci si aprono, davvero sorprendenti! «E vanno gli uomini ad ammirare le montagne altissime e le onde paurose del mare e il bacino dei grandi fiumi e l’orizzonte dell’oceano sconfinato e il girotondo delle stelle: e trascurano se stessi, gli uomini…
Tornate al vostro cuore e stringetevi a Colui che vi ha creati; riposate in Lui e troverete pace…»: sono consigli di quel grande “viandante del cuore” che fu proprio Agostino.
Nel nostro zaino non dimentichiamo la fede, per inoltrarci nel cammino più importante, quello verso l’incontro con la presenza viva, incandescente di Dio, dentro di noi.
RINASCERE – 20 aprile 2020
Come vorremmo, specialmente in certi snodi complicati e oscuri, tornare bambini. Rinascere, in una parola. Ma con la consapevolezza maturata frattanto. Ci metteremmo più avvedutezza, commetteremmo meno errori, gusteremmo maggiormente la vita per come ci viene incontro…. Ci succede di fantasticare, quasi per creare un bypass che ci traghetti altrove rispetto alla realtà che ci tiene legati.
La Parola ci dice che rinascere è possibile, oggi, e proprio lì dove viviamo. Ma non nel senso di una nostalgia struggente e illusoria. Tutto il bagaglio accumulato nel corso della vita, attività e passività comprese, non mi impedisce di essere generato a una verità più profonda su di me e sul mio destino; di credere che l’inedito abbia ancora molto da offrirmi.
Chiedere quegli occhi che consentano una lettura dall’alto degli eventi, della storia: chiedere gli occhi della fede; la rinascita parte da questo sguardo nuovo…
Rinascere, poi, è un fatto di cuore. Di pensiero e sentimento. Sta lì la radice di tutto. Questa rinascita non ce la diamo da soli; è opera dello Spirito, dono del Risorto. Ogni giorno ci viene donata la possibilità di essere nuovi, nuovi nel cuore, diversi da ieri: semplici, come i bambini, che mettono la loro piccola mano in quella del “grande”, sicuri che verranno guidati per il bene. Mettiamo anche noi la nostra mano in quella dell’umile Gesù, e lasciamoci guidare da Lui: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
RICONOSCERE – 19 aprile 2020
C’è stato bisogno di ricorrere a vecchi libri di scuola. Si chiamava Euriclea: era l’anziana nutrice di Ulisse, e quando questi ritornò a Itaca travestito da mendicante, lei lo riconobbe da una cicatrice, memoria di una ferita che lui si era procurato da bambino.
Noi riconosciamo e veniamo riconosciuti per quel dettaglio che rende unici: un certo modo di camminare; quella particolare inflessione nella voce; quella ruga che si evidenzia, sulla fronte o ai lati della bocca. Un bagaglio che, vivendo, si arricchisce anche di quelle situazioni che ci hanno fatto sanguinare il cuore, e che rimangono, segni di strettoie attraversate e che ci hanno resi diversi; maturi.
Le nostre ferite sono i nostri segni di riconoscimento: portiamole con riguardo.
Tommaso voleva vedere il Risorto, e nella sua fede ancora acerba intuisce che c’è un luogo sicuro dove poterlo riconoscere: le sue ferite; quelle ferite che Lui si era procurato con la sua Passione.
Se vogliamo anche noi incontrare il Signore, accostiamoci con fede alle ferite nostre e dei nostri fratelli: attraverso di esse sceglie di passare il Risorto, con la sua forza di vita nuova.
RICEVERE – 18 aprile 2020
Chi è povero, sa di che si tratta: vive ricevendo dagli altri ciò di cui ha bisogno.
Ricevere: è il contrario dell’accaparrarsi, del conquistare.
Ricevere: è l’atteggiamento di chi abbandona la pretesa del “self made”, e riscopre la gratitudine per ciò che è e ciò che ha. Infinitamente tanto anche nel poco.
Ricevere: richiede che manteniamo tesa la nostra mano, senza vergogna, con umiltà, con pazienza, perché non subito viene colmata.
Anche la preghiera è ricevere: ricevi la Parola; ricevi la presenza silenziosa e sicura di Dio, accanto a te, dentro di te; ricevi gli altri negli spazi resi ampi del tuo cuore.
Ogni mattina riceviamo nuovamente noi stessi dalle mani provvidenti di Dio: Egli ci regala di essere nuovi, oggi, per lui, per gli altri.
Possiamo aggregare queste suggestioni in una preghiera breve come un hastag:
#miricevodaTe
RICOMINCIARE – 17 aprile 2020
Una nuova giornata si apre, coi suoi “riti” e le sue consuetudini. C’è sempre quella parte di risaputo che ritorna, e che proprio per questo ci vede con poca grinta, poco entusiasmo. Siamo sempre noi e le nostre cose. Ancora in questo tempo costretto dentro spazi delimitati.
Ma c’è un modo per evitare che questa giornata sia la fotocopia di quella di ieri: sceglierla per ricominciare.
Possiamo aver accumulato stanchezze e tensioni: ma oggi ricomincio.
Possiamo essere tristi e delusi: ma oggi ricomincio.
Possiamo sentirci esasperati, preoccupati, angosciati: ma oggi ricomincio.
Ricomincio a dissodare uno spazio di fiducia dentro di me, con gli umili arnesi della preghiera, della gratitudine, del buonumore. Anche buonumore.
Ricomincio a tessere l’ordito delle relazioni, col filo della gratuità.
Ricomincio a percorrere il mio tratto di strada con Dio, “mettendo un passetto dopo l’altro, anche traballante, ma nella gioia perché uno sguardo di Infinito Amore è intanto su di me” (Madre Alessandra OSA).
Oggi ricomincio.
RIAFFIORARE – 16 aprile 2020
Gettare un seme nella terra è un segno di speranza ma anche un gesto rischioso: che ne sarà di lui? Crescerà, germoglierà? Altri dopo di noi se ne prenderanno cura?
Il nostro giardino è ancora un ammasso di pietre e di erbacce. In questi giorni ci stiamo dedicando a ripulirlo. Occorre fare attenzione: anche le erbacce richiedono di essere trattate con un certo garbo, prese per il loro verso, altrimenti ti resta in mano solo la cima, ma la radice rimane nel terreno. Estirpando e zappando, ecco che cosa riaffiora: qua e là, ciuffi di pervinche. Seminate chissà quanto tempo fa da una mano gentile. Delicatissime, nei loro fiori chiari e violacei. Hanno resistito agli anni dell’abbandono e persino ai movimenti terra dei caterpillar durante i lavori.
Ce le siamo sentite affidate.
Forse noi avremmo scelto un altro tipo di fiore: le pervinche hanno scelto noi, domandandoci di prendercene cura. Lo facciamo volentieri, creando idealmente un ponte con quella mano che tanto tempo fa le seminò.
Ci viene in mente una frase di Qoèlet: “Getta il tuo pane sulle acque, perché con il tempo lo ritroverai” (Qo 11, 1). Ciò che viene seminato, non si perde mai. Prima o poi riaffiora, perché qualcuno ne goda.
RIPASSARE – 15 aprile 2020
Verbo cult degli studenti, non manca mai nelle conversazioni pre-campanella scolastica: “Ho ripassato, non ho ripassato, non avevo voglia di ripassare, mi sono dimenticato di ripassare… ho troppa roba da ripassare …”.
Ripassare: non è solo ripetere, ma anche fare la fatica di metterci del tuo, personalizzare ciò che hai ricevuto durante la lezione, creare collegamenti tra le materie, aprire sentieri di comprensione della realtà, della storia, della vita…
Se non ripassi, non passi: legge dura, ma funziona così: se non fai la fatica di chinarti sui libri con pazienza e dedizione, non hai tante chances di essere promosso all’anno successivo; di accedere allo step successivo di crescita verso la maturità e l’inserimento nel mondo degli adulti con il tuo apporto consapevole di habilities.
Ma c’è bisogno che qualcuno ci si affianchi, in questa operazione del ripassare: da soli, potremmo prendere abbagli, o patire delusioni, o rimanere con una lettura solo parziale degli eventi.
È ciò che successe ai discepoli di Emmaus, che vogliamo immaginare fossero due giovani: tra loro due “si ripassavano” gli eventi da poco successi, la passione e la morte di Gesù. Non riuscivano a leggerli in altro modo se non come un fallimento totale. Finché quello straniero pellegrino non si avvicina e comincia a riprendere pian piano il filo degli eventi, collegandoli tra loro con un significato che apre le loro menti.
“Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” si dissero poi, raggianti di gioia.
Dedicato a tutti gli studenti di quest’anno scolastico così strano e originale. Con l’augurio che nel loro ripassare a volte arido e poco gratificante lascino sempre aperta la porta della comprensione al senso delle cose fondamentali ed eterne, a partire dalle quali si possono comprendere i guazzabugli delle nostre vicende umane.
RITROVARE – 14 aprile 2020
«Cosa c’è nell’anima, che le fa provare per le cose amate e ritrovate o restituite una gioia maggiore che se le avesse sempre conservate?». Come riconosciamo vere queste parole di Agostino! Ci accorgiamo del valore di una persona o di una cosa, solo quando abbiamo corso il serio rischio di perderla.
La Maddalena rimane accanto al sepolcro. Il suo è un rimanere, ma soprattutto un resistere. Anche di fronte a quella che umanamente è un’evidenza. Resistere è proprio dell’amore. C’è qualcosa di irriducibile, anche nel dolore più atroce, quello del lutto. Qualcosa dentro di te vuole sentirsi dire che non sarà perduto per sempre…
Mentre la Maddalena è lì a resistere accanto al sepolcro, da dietro le sue spalle si sente chiamare: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Le nostre lacrime per Lui sono preziose, lo fanno muovere verso di noi. E poi quel nome, pronunciato di nuovo, con quel suo timbro dolce, sicuro, lieto, inconfondibile: “Maria!”. È lui che la chiama, sì proprio Lui, vivo, risorto! Quello che il cuore sapeva, ha avuto conferma: Lui non era perduto per sempre, Lui è stato ritrovato! Ma anche la Maddalena è stata ritrovata: smarrita nel suo dolore, il Risorto l’ha raccolta, restituita alla vita e alla letizia.
In lei, ci siamo anche noi.
RIPARTIRE – 13 aprile 2020
Oggi, Lunedì dell’Angelo, è ancora Pasqua. Esattamente come ieri. E sarà così fino a domenica prossima compresa: otto giorni in cui si distende l’unico giorno di Pasqua. Approfittiamone per far risuonare il nostro Anesti ancora e ancora.
In questi giorni così speciali ci vengono incontro alcuni verbi che hanno attinenza con quel verbo principale, risorgere, accomunati anche dalla particella: “ri”.
Ripartire. Un conto è partire: per un viaggio, per un’avventura, per una vacanza, insomma con una meta davanti a te verso la quale ti prepari, ti organizzi e metti in moto i tuoi sogni. Partire ha a che fare col distacco dalle cose che lasci, ma anche col senso dell’esplorazione e il fascino dell’ignoto. Ben diverso è ripartire: dopo una battuta d’arresto; dopo una caduta; dopo un disastro. È dura! Significa raccogliere le proprie residue risorse e rimetterle in circolo, con umile tenace operosità. Il poco si moltiplica, per una forza insita in quell’operare che con i pochi ingredienti a disposizione sa impastare futuro.
Oggi il Vangelo ci parla delle donne che abbandonarono “in fretta” il sepolcro. Se vogliamo incontrare il Risorto e lasciarci contagiare della sua forza di vita nuova, anche noi dobbiamo fare un passo che ci allontani dai nostri avvilimenti. Impastiamo futuro con la domestica operosità di questi giorni. Noi oggi lo facciamo prendendoci cura del nostro giardino.
ANÉSTI – 12 aprile 2020, Domenica di Resurrezione
Quante volte ci incamminiamo per tornare ai nostri sepolcri di cose monotone e sofferte, e intanto pensiamo: “Non cambierà mai niente”. Uscire incontro ad una tomba e invece imbattersi in Lui, proprio Lui, vivo, reale, davanti a te. Lasciamoci smentire da Lui, che con voce limpida e forte ci chiama. Pronuncia il mio, il tuo nome, perché distogliamo lo sguardo dalla nostra tomba e lo portiamo su di Lui. Lì di fronte a noi. Un irresistibile invito alla sua danza di vita.
Come dev’essere stato quel primo annuncio, di buon mattino, con l’aria frizzante e odorosa dei mille fiori di primavera? Corse fino al fiatone, nei sandali leggeri e polverosi.
È risorto! In quella lingua antica e misteriosa, il greco, suona così: “Anésti!”: veloce come un respiro, breve come un palpito.
Salutiamoci così, oggi: non possiamo abbracciarci, ma sorriderci sì, e intanto scambiarci il saluto che è il timbro speciale di questo giorno di Pasqua:
“Cristo è risorto” e rispondiamo: ” È veramente risorto!”.
Santa Pasqua di Resurrezione a tutti voi, amici cari!
ANTIFONARIO – 11 aprile 2020, Sabato santo
La Pasqua, in monastero, è segnata dal canto. Si cantano i salmi, gli inni, si cantano le antifone che precedono e seguono ciascun salmo: ogni antifona ha la sua melodia, e tutte sono raccolte nel libro che accompagna la nostra preghiera: l’antifonario. Libro che accompagna anche la nostra vita in monastero; reca sottolineature, glosse, asterischi accumulati nel corso del tempo. Reca anche, la memoria delle feste passate, che di anno in anno ricorrono ma che sono sempre diverse, da un anno all’altro. Indimenticabile rimane, per tutte, la prima Pasqua in monastero: tutto è nuovo, tutto così intenso, reale, coinvolgente. Poi ci sono anche altre Pasque indimenticabili, a fare da “spartiacque” da una fase della vita all’altra. Questa Pasqua, sicuramente la ricorderemo tutti.
Anche di Sabato Santo, giorno di per sé segnato dal silenzio, si canta. Non un canto sguaiato, ma un canto dolce, sommesso, all’unisono: c’è sempre lo sforzo di ascoltarsi, di creare un ritmo comune che faccia spazio a tutte. Le antifone del Sabato Santo, stranamente, non sanno di dolore. C’è una nota di forza che le attraversa, una nota irresistibile di speranza. E poi c’è quell’antifona, speciale, dove il morire è coniugato al passato: “Ero morto, ma ora vivo nei secoli: mie sono le chiavi della morte e dell’inferno”. Lui, Gesù, l’ha detto: “Ero morto”. E nella mia morte sono andato a scardinare una volta per tutte le porte della morte. Porte che non restano più sigillate, ma definitivamente spalancate verso la Vita.
Qualunque sia la morte che ti tiene prigioniero, in essa è disceso Gesù in persona: lasciati afferrare da Lui e portare alla luce; portare alla vita.
BATTITO – 10 aprile 2020, Venerdì santo
Per quanto ci affanniamo a spiegare e giustificare, come si accenda il battito del cuore in una nuova vita rimane un miracolo. Quel pulsare ritmato secondo precise cadenze. Nel bambino che ancora deve nascere è un autentico galoppare: ne sanno qualcosa le madri, quando vanno a fare il monitoraggio, durante i nove mesi della gravidanza.
Poi si cresce, si diventa adulti; a volte percepiamo il battito del nostro cuore, come dopo una corsa, o quando ci invade una forte emozione.
Anche Maria avrà sentito tante volte battere il cuore di Gesù: quando lo abbracciava, bambino; quando lo baciava, dandogli la buonanotte. Eccolo, ora, questo suo figlio, rantolare sulla croce. Lei costretta a stare a distanza; vorrebbe accarezzarlo, sussurrargli all’orecchio parole che solo la madre sa dire. Ma non può. L’impotenza sua, l’impotenza di tanti di noi, oggi.
Il figlio è lì sospeso; il suo respiro sempre più flebile dice del suo cuore stanco, sfinito, che ormai sta per cedere. Un battito sempre più rarefatto.
La madre resta lì, e forse in un lampo rivede quel figlio quando gioiva per i campi di grano biondeggianti; quando camminava, agile e vigoroso, sulle strade polverose della Palestina; quando per tutti aveva una parola di vita e un gesto di guarigione.
Arriva quell’ultimo battito atteso e temuto. Poi tutto è silenzio. Tutto è compiuto.
La madre è lì, a raccogliere l’ultimo respiro del figlio. A raccoglierlo per noi.
CUDDÚRI – 9 aprile 2020, Giovedì santo
Dicono che sia un’invenzione dei monaci, secoli fa. Per la gente semplice di questa terra di Calabria, evangelizzata proprio da loro. Un pane che accompagna i giorni santi del Triduo. Anche noi abbiamo imparato a conoscere ed amare questo pane, il cuddúro. Un pane a forma di treccia, con incastonate una o più uova. Un pane bello, dorato, ma anche profumato: nell’impasto si aggiungono semi di anice. La prima volta che ce ne fecero dono, pensavamo si potessero mangiare come tutti gli altri tipi di pane. Invece no. I cudduri vanno mangiati con devozione, con riverenza, perché sono la continuazione di quel gesto di Gesù così forte, così carico di amore che è la lavanda dei piedi; nel loro profumo puoi assaporare qualcosa della soavità con cui l’umile Gesù vive la dolce consegna di sé.
I cudduri sono il pane della condivisione e dell’amicizia: a tutti ne viene distribuita una porzione, al termine della celebrazione del giovedì santo. Sono il pane della concordia e della famiglia. Sono il pane che ci accompagna fino al giorno di Pasqua: quell’uovo che essi contengono dice già promessa di vita nuova, risorta. Vita per me e per te.
Quest’anno dei cudduri avremo il profumo, nella memoria del cuore. Nell’attesa di condividerlo come sempre, insieme agli amici. Intanto cerchiamo di prepararne una versione “casalinga” dove non manchi, tra gli ingredienti, quell’uovo che annuncia la Resurrezione.
LABBRA – 8 aprile 2020
A volte sono proprio i particolari, quelli da cui si ricavano maggiori informazioni. Nella nostra mimica facciale, quanta importanza diamo alle labbra! Le muoviamo in mille maniere. Aprire, chiudere, stringere, serrare, mordersi le labbra; labbra carnose, labbra riarse…
Chissà come avrà pronunciato Giuda quella sua domanda: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. Spingiamo la fantasia fino a immaginarlo: a labbra serrate, teso, ansioso di concludere presto la cosa. Da altre labbra, quelle di Gesù, escono parole drammatiche: “In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”. Il tono è pacato, la voce è ferma; ma puoi notare quel tremore delle labbra, indizio certo di una commozione profonda, di un turbamento di tutto il suo essere. Poco dopo, saranno proprio le labbra di Giuda a identificare il Rabbì da arrestare, e lo faranno addirittura attraverso un bacio. Che dolore: usare un segno di affetto come gesto per tradire. Da quel momento, sempre di meno saranno le parole che usciranno dalle labbra di Gesù. Fino al silenzio della Croce. Lì ritroviamo altre labbra, innumerevoli: sono le labbra delle sue ferite, aperte, grondanti sangue. Come tante bocche da cui esce un’unica parola: perdono.
AMICIZIA – 7 aprile 2020
Chi non ne vorrebbe almeno uno. Che sia vero, fidato. Che non sia solo compagno di tavola, ma che sappia anche, come dice la Bibbia, “resistere nel giorno della tua sventura”. Un amico leale. Che tesoro, un amico vero! (Sir 6, 14). Nella scena del Cenacolo spiccano, attorno a Gesù, altri volti: Pietro, Giovanni, Giuda. Ciascuno di loro cerca una relazione di amicizia con Gesù. Ma non tutti sanno capirlo. Ogni volta che cercano di rinchiuderlo nei loro schemi mentali, il Maestro si smarca, li delude, pronunciando parole che risultano urticanti, anche incomprensibili: passione, croce, morte…
Arriva il momento, anche nell’amicizia più bella, in cui l’amico ti delude. Non lo capisci più. Sembra diventato una galassia lontana anni luce da te. Così dev’essere stato anche per quei discepoli. Solo il più giovane, proprio il più giovane, Giovanni, resiste accanto al Maestro, scegliendo il posto che è quello giusto per vivere l’amicizia: stare in ascolto del cuore dell’amico.
“Meglio essere in due che uno solo: se cadono, l’uno rialza l’altro” (Qo 4, 9.10). Lui, l’umile Gesù, con la sua Passione entra nelle nostre solitudini rischiarandole con la sua presenza. Accogliamo col cuore di Giovanni il dono meraviglioso della sua amicizia.
SPRECO – 6 aprile 2020
Sapevi di trovarla in cucina. Puntuale dietro ai fornelli. Con quel suo respiro asmatico, rumoroso. E il passo incerto, faticoso. Aveva un’attenzione per tutti e per ciascuno: le malate, le anziane, le giovani, gli ospiti. Aveva cura non solo nel fare le cose, ma anche nel come farle: un piatto buono e ben preparato, che “si presentasse bene” anche agli occhi. Alla fine del turno, dopo una settimana di cucina condivisa insieme, era lei a cercare la parola del perdono, con cui ci si ridonava la pace e ci si metteva alle spalle quelle inevitabili piccole tensioni che erano potute accadere. “La carità è una gran signora, ripeteva, e va servita”. Aveva quel suo modo di pronunciare certe parole “esotiche”, come “iogorto” (yogurt) o “chiuo” (kiwi). E chissà come pronuncerebbe oggi parole come “followers” o “like”, lei che era allergica alla pubblicità. Una vita trascorsa così: silenziosa e operosa.
Mancano sei giorni alla Pasqua e oggi il Vangelo ci pone davanti la scena, stupenda, dell’unzione di Betania: Maria rompe un vasetto di profumo molto costoso e ne cosparge i piedi di Gesù. Giuda che è presente non capisce e obietta: “Che spreco!”.
Anche la vita di suor Concetta è stata uno spreco. Un meraviglioso, esagerato spreco di amore. Chi l’ha visto? Chi se n’è accorto? Il cuore attento dell’umile Gesù.
ZONA ROSSA – 5 aprile 2020, Domenica delle Palme
I colori hanno un loro linguaggio, e in questo tempo il rosso non preannuncia niente di buono: siamo tutti in zona rossa, la zona del pericolo e della criticità; del divieto di uscire di casa, del contagio vicino e possibile. Zona rossa, e il solo nome fa scattare l’allerta, crescere l’angoscia.
Ma esiste anche un’altra zona rossa: sono questi giorni di Passione. La zona rossa di Gesù è spazio di vita, che lui ci ha ottenuto attraverso il suo sangue. Dono di sé fino alla fine. Entriamo, allora, con il cuore in punta di piedi, nella zona rossa di Gesù: qui non c’è da temere alcun contagio, ma da desiderare che lui imprima un segno profondo in noi, col tocco delicato e vivificante del suo amore.
PULIZIE – 4 aprile 2020
La pandemia non riesce a cambiare quello che in monastero è un must: il sabato, in ogni sabato che si rispetti, in monastero si fanno le pulizie. Finestre spalancate anche in pieno inverno, sedie rivoltate, mobili spostati; spazzare spolverare dare il cencio (alla toscana) lucidare: la casa sembrava non avesse bisogno di tutto questo ribaltare, e invece quando pulisci ti accorgi dello sporco accumulato. soprattutto negli angoli meno appariscenti.
Stiamo per entrare nella settimana delle Grandi Pulizie dell’Umile Gesù. Pensavamo di non averne poi tanto bisogno; non diciamo tante volte: “In fondo non ho ammazzato nessuno?”. Poi ti scopri quel nodo dentro che non si scioglie; quella relazione che resta spezzata; quel rancore che non passa; quel perdono che non riesci ancora a dare. Affidiamo tutto a Lui, consegnando a lui ciò che ci fa più fatica, quegli angoli malati che ci teniamo dentro. Lui vuole lavare via tutto, farci nuovi, riportare il pulito nel cuore. Lasciamolo fare. Con fiducia.
PUNTO-LUCE – 3 aprile 2020
Se hai dimestichezza coi colori, lo sai bene. Se non ne hai, la cosa è semplice: se vuoi che i colori risaltino vividi, occorre dare dei punti-luce. Piccole macchie di colore chiaro. Ne bastano poche, anche rade, qua e là.
Non c’è situazione, giornata, persona, che non racchiuda dei punti-luce. Come minuscoli tasselli che imprimono vivacità, danno profondità, svelano e rivelano.
Anche in questa giornata possiamo cercare quali punti-luce il Signore ha sparso proprio lì dove ci troviamo…
EMERGENZA – 2 aprile 2020
Non solo ambulanze che corrono a sirene spiegate; non solo la fretta di un soccorso che non può aspettare.
L’emergenza è anche altro. E’ lo sbucare di un filo d’erba dal bianco della neve…
Sì: pensiamo che quest’immagine descriva qualcosa di importante riguardo all’emergenza. Che significa: ciò che emerge, che sale a galla, da un’onda che tutto ha travolto e sommerso.
Nella nostra comunità l’emergenza sta facendo venire a galla la delicatezza: dire senza turbare; portarsi reciprocamente, ciascuna col suo peso di preoccupazioni e pensieri, ma aiutandosi a conservare alto lo spirito; anche, con un pizzico di humour…
Cosa sta emergendo di positivo nella mia vita, nelle nostre relazioni, in questo tempo?
Confrontiamoci su questa domanda con verità e semplicità.
1 APRILE
Non è un pesce di aprile. Questa mattina è tornata la neve. Un fioccare abbondante e silenzioso.
Che incanto!
Queste immagini vogliono raggiungere te, che, nel chiuso della tua abitazione, lotti con la solitudine e vedi solo strade deserte.
Vogliono giungere come una carezza per te, che ti consumi nell’ansia di questi giorni difficili e paurosi.
La tenerezza ha la forza di addolcire la durezza in tutte le sue espressioni.
RICHIAMO – 31 marzo 2020
“Ho sentito la tua voce alle mie spalle,
mi diceva di tornare indietro,
ed ecco che torno
assetato e desideroso della tua fonte, o Dio” (S. Agostino).
Richiamare è ripetere tante volte un nome: il tuo, il mio.
Come invito a fare attenzione, aprire gli occhi, scuotersi…
Voce che ci dice di fermarci, riflettere, metterci in discussione.
Il richiamo della voce di chi ci ama lo riconosciamo subito.
Anche Dio ha il suo modo per chiamarci, cioè per dirci il suo amore. E il suo modo per richiamarci, cioè per esortarci a prendere sul serio il suo amore.
TENERE – 30 marzo 2020
Una parola per oggi, all’inizio di una nuova settimana. Si tratta di un verbo, così carico di senso, così importante da vivere. Tenere: un invito forte per questo tempo.
Tenere, contrario del buttare via. Tenere, cioè conservare, non gettare via nulla: di questo tempo così complicato nulla va buttato via, perché anche nelle sue pieghe più tristi e controverse ha qualcosa da insegnarci: facciamone tesoro. Tenere insieme i pezzi, perché soltanto se conservati tutti si riesce a capire il disegno complessivo, come il risultato di tante tessere di un unico puzzle.
Tenere la rotta, non perdere l’orientamento, la direzione in questo clima che ci trova tutti tristi e facili a restare spiazzati.
Tenere, cioè tenere duro, resistere, continuare e rimanere. Tenere, dunque, come l’opposto di chi molla, di chi lascia la presa, di chi si getta via.
Dalla capacità di tenere viene la tenacia: che è l’atteggiamento carico di grinta di chi alla vita vuole restare aggrappato, facendo attivamente la propria parte, in qualunque “tempo”: col sole e con la pioggia.
Tenere: e ora lasciamo a te di suggerire altre “variazioni sul tema”.
Teniamoci uniti.
VITA – 29 marzo 2020
Oggi il tema che ci viene proposto ha a che fare coi fondamentali: vita, morte, amore. Gesù, che amava profondamente Marta, Maria e Lazzaro, scoppia in pianto di fronte alla morte di Lazzaro; prega il Padre ringraziandolo che sempre lo ascolta; richiama in vita Lazzaro, con quella sua parola potente, vigorosa, efficace: “Lazzaro, vieni fuori!”. Questa parola è anche per noi: nei tanti modi in cui assaggiamo la morte, sotto forma di paure, incertezze, preoccupazioni, angoscia, anche il nostro nome viene pronunciato con forza da Gesù, come richiamo alla vita; come forza che ci scuote da quel nostro oscuro torpore, per rimetterci in piedi, e in cammino. Se fosse solo nostra, la vita sarebbe solo “vita mortale”, come diceva Agostino; poiché è dono di Dio, diventa vita vivificata.
Nelle piccole morti che patiamo ogni giorno, cerchiamo di intercettare la voce possente dell’umile Gesù, che con forza ci vuole, ogni volta, richiamare alla vita e rimettere in piedi e in cammino.
Quale scelta di vita posso fare oggi, dietro a Gesù?
CAMBIAMENTO – 28 marzo 2020
Questa sera dovremo mettere le lancette dell’orologio avanti di un’ora: cambio dell’ora: da solare a legale. E in questo piccolo mutamento, che del resto ritorna, puntuale, ogni anno a questa data, stavolta leggiamo qualcosa di più serio, di più profondo. Siamo in un tempo in cui tante cose sono cambiate, per la nostra vita. Può darsi che interiormente viviamo tutto questo solo subendolo, oppure standoci sì, ma con disagio, “obtorto collo”, come dicevano gli antichi, insomma c’è il rischio che questo cambiamento ci vada di traverso. Ma a pensarci bene è proprio nella disponibilità al cambiamento che la vita può conservare il suo slancio in avanti. Dove tutto si ripete uguale a se stesso, pure con ritmo convulso e frenetico, la vita a poco a poco ristagna e si ammala. Siamo stati tutti costretti ad un grosso cambiamento nel nostro modo di vita. Che questo ci trovi disponibili, per trarre anche da questo tempo, in sé tanto drammatico, qualcosa per cui crescere, maturare; migliorare nella nostra umanità. Sentiamo tutti che è necessario un cambio in meglio.
Anche noi ci sentiamo fortemente interpellate al cambiamento: le relazioni tra noi richiedono di mantenere un clima disteso, un morale il più possibile alto, un ambiente che sia curato e accogliente; la preghiera scava profondità ulteriori di solidarietà e si apre a modalità nuove di condivisione…
Rendiamoci disponibili al cambiamento, a cominciare da cose piccole. Ciascuno di noi si può domandare quale passo può fare verso un cambiamento in meglio… anche solo un piccolo passo…
ANELLI – 27 marzo 2020
Ieri sera, un servizio al Tg mostrava un operatore in una Casa di riposo che diceva degli anziani ospiti: “Il pensiero che abbiano 90, 95, 97 anni a noi non importa niente… se per tutto il mondo possono essere dei numeri, per noi sono parte della nostra vita”. Stupendo!
La forza di una catena si misura sull’anello più debole, diceva Chesterton. Il coronavirus sta riportando a galla debolezze della nostra società che volevamo a tutti i costi tenere nascoste: invece sono lì a dirci che l’umanità fiorisce quando ogni “anello della catena” rimane legato a quello che lo precede e a quello che lo segue.
Qualunque sia la nostra età, siamo tutti legati da interconnessioni chiamate a interagire fra loro, in un interscambio di affetti, sapienza di vita e dignità. Solo così la “catena” di un popolo potrà ritrovare quella forza a tutta prova, capace di accompagnare con amore e cura i primi e gli ultimi istanti di ogni vita.
FORMAZIONE – 26 marzo 2020
Quanto è importante mantenere aperto il cantiere della nostra formazione, con qualunque tempo, in qualunque condizione. I nostri giovani che studiano ce lo insegnano: nell’impossibilità di andare a scuola, stanno sfruttando tutte le modalità possibili per non “perdere il filo”, anzi per continuare ad intrecciare il filo della conoscenza. Tutti sentiamo che, per non restare appesantiti da quanto viviamo, abbiamo bisogno di nutrirci interiormente, col cibo buono e sostanzioso del senso, capace di dare respiro al cuore, al pensiero, ai sentimenti.
Anche noi continuiamo la nostra formazione, e, nell’avvicinarsi della Pasqua, abbiamo scelto di farci aiutare da un biblista per sostare sulle pagine di fuoco della passione-morte-resurrezione di Gesù, considerate a partire dalla vicenda del profeta Giona. Così, coi mezzi che la tecnologia oggi mette a nostra disposizione, eccoci insieme a riflettere, ascoltare, approfondire.
Quanta gratitudine per questo “respiro a pieni polmoni” che ci viene offerto, ancora una volta, dalla Parola di Dio!
25 marzo: NEVE
Che dolce sorpresa, questa mattina, al risveglio! A darci il buongiorno è stata la neve, come tenera carezza sui nostri cuori. Questo manto candido ci arriva come un messaggio di speranza: “Coraggio, io ho per voi progetti di pace”, dice il Signore; “Sotto la neve, pane”, rispondevano i nostri anziani. Qualcosa di nuovo e di bello va preparandosi per noi; troviamoci pronti ad accoglierlo, con cuore libero e attento, con un cuore simile a quello di Maria, che oggi contempliamo nel suo giovane, freschissimo “sì” a farsi grembo per Dio.
E ciascuno di noi, nella misura in cui fa spazio a Dio nella sua vita, si fa grembo per lui: lasciamolo agire con piena fiducia; Lui conosce ciò che è buono per noi!
GUARIGIONE – 24 marzo 2020
Oggi la invochiamo tutti; la desideriamo per tutti, e quando ci arrivano i numeri dei contagiati, o di chi non ce l’ha fatta, questo ci consola: verificare quanti invece sono guariti. Guarigione del corpo, guarigione dalla malattia che ci ha infestato.
Anche Gesù oggi nel Vangelo domanda ad un malato cronico: “Vuoi guarire?”. si direbbe domanda scontata, eppure non è così. Con quella domanda Gesù vuole aiutare quell’uomo a scavare dentro di sé e a scoprire dove ha bisogno di essere guarito. Ci sono anche le malattie del cuore, meno facili da riconoscere; a volte ci capita perfino di assuefarci ad esse, di essere positivi a questi “virus interiori” in modo tale che noi ci crediamo sani, ma intanto infettiamo gli altri… Le malattie del cuore…la rabbia, il rancore, la noia, lo scoraggiamento, la paura, una ruggine non sanata con qualcuno… Ciascuno può dare un nome a quello che scopre dentro di sé.
Tu, vuoi guarire?
DECISIONE – 23 marzo 2020
Eccoci ad un nuovo lunedì di questo tempo di reclusione forzata per tutti.
Sono state decise nuove restrizioni; giornalmente si decidono provvedimenti, decreti, norme ulteriori…. sembra che a noi poco altro resti da fare..
Ma in questo primo giorno della settimana, per quanto grigio e in salita possa essere, c’è qualcosa che possiamo ancora decidere noi, in prima persona.
Possiamo, per esempio, prendere la coraggiosa decisione di essere di buonumore;
ancora: possiamo decidere di salutare le persone che vivono con noi, rivolgendo loro un sorriso;
possiamo decidere di non lamentarci;
possiamo decidere…. continua tu…
…sarà come un antidoto colorato al grigio che sentiamo fuori e dentro di noi.
PRIMAVERA – 21 marzo 2020
Nonostante tutto, oggi è il primo giorno di primavera. Ci vuole coraggio, per spingere lo sguardo oltre e ritrovare il colore dei fiori. Eppure sono lì, anche loro “a distanza”, a colorare i ciuffi d’erba che spuntano qua e là; oppure, a far capolino da un vaso sul terrazzo. I fiori: magari non ci possiamo avvicinare per sentirne il profumo, ma il colore sì, quello ci arriva. Sarebbe bello che ognuno postasse un fiore, ma attenzione: non un fiore tramite foto scaricata da internet (troppo fasullo!); il fiore che ciascuno, che ciascuna riesce a vedere lì dove si trova…
Come segno di speranza: la vita, anche quando è seria, anche quando è drammatica, conserva le tinte dei fiori… Cominciamo noi, col multicolore dei fiori campestri fuori nel cortile.