LIMES – 2 maggio 2020
Senza dubbio, questo tempo ci fa recuperare il senso del limite: limes, in latino.
Veniamo al mondo “delimitati” da coordinate precise: la situazione storica, il contesto dei nostri affetti primari, l’ambientazione geografica.
Limite: non è solo una barriera da infrangere, ma piuttosto una soglia da cui affacciarsi.
Siamo così spesso in lotta coi limiti; questo ci vede perennemente inquieti.
Tutta la storia dell’umanità si potrebbe leggere come storia della relazione col limite. E soprattutto con quel limite fondamentale, primario, che è la morte.
Giunge il tempo di tornare a fare pace coi propri limiti. Di guardarli con benevolenza, persino con simpatia. Di essere contenti del colore dei nostri occhi, o capelli, dell’età e dell’altezza che abbiamo, noi sempre in cerca dell’ultimo modello di trampoli con cui torturare i piedi. Giunge il tempo di tornare a chiamare “sorella” persino la morte.
Per tutta la sua giovinezza, Agostino non aveva fatto che lottare coi suoi limiti, nella presunzione di credersi un superuomo. La conversione lo restituisce alla misura dei suoi limiti, che si chiama umiltà: «E vuole lodarti l’uomo, o Dio, questa particella della tua creazione, l’uomo che si porta dietro la sua morte…». Noi mortali abbiamo la grande risorsa della lode, per elevarci oltre noi stessi ed avvicinarci al cuore di Dio. Questo balzo vertiginoso ci viene reso possibile proprio dall’umiltà, che raccoglie il limite e lo ospita grato nella vita.