NARRATIO – 10 maggio 2020
Il racconto, la narrazione, sanno incidere potentemente nel cuore, nel pensiero, nell’immaginazione. Ascoltare il vissuto di una persona non ci restituisce mai tali quali eravamo, ma arricchisce il nostro bagaglio; ci costringe ad allargare gli spazi della comprensione, nell’accoglienza rispettosa di ciò che ha segnato un’altra persona. La narrazione rende la storia di un altro anche un po’ mia. Ci immedesimiamo nelle vicende che andiamo ad ascoltare; ci figuriamo di essere noi i protagonisti di cui sentiamo parlare; la fantasia poi ci aiuta ad immaginare il contesto, coi sentimenti che ne scaturiscono.
Probabilmente sentiamo tutti la voglia di metterci alle spalle questo tempo di pandemia e di tornare alla normalità. Sarebbe però uno sbaglio farlo scorrere via senza appuntare almeno le note più significative per noi: in che modo lo stiamo affrontando; come questa vicenda ci sta cambiando, quali abitudini ha trasformato, e soprattutto quale consapevolezza sta maturando in tutto ciò. Affidare ad un quaderno o a un diario questa narrazione, tornando ad impugnare la penna, oppure digitando sulla tastiera del pc. Narrare a noi stessi fa sviluppare la capacità di riflettere, approfondire, pensare, collegare e rintracciare significati. Narrare agli altri è consegnare un piccolo tesoro: la memoria condivisa fa crescere la nostra umanità.
Agostino amava narrarsi davanti a Dio, «con parole dell’anima e grida del pensiero» (Conf. 10,2,2), e intuiva che rendere partecipi altri della sua avventura di credente, del suo errare e del suo ritrovare, poteva contagiare coraggio e speranza: «Le confessioni dei miei mali passati, a leggerle o ascoltarle risvegliano il cuore dal letargo della disperazione, perché non dica: “No, non ce la faccio”, ma attenda in amorosa veglia la bontà del perdono di Dio e la carezza della sua grazia, che rende forte ogni uomo malcerto» (Conf. 10,3,4).
Narrando, il cuore si risveglia, e si riconsegna con rinnovata fiducia a Dio e ai fratelli.