VOCATIO – 3 maggio 2020
Rimane ogni volta un mistero. Qualcosa che non riesci né a spiegare né a comprendere fino in fondo. Come sia possibile ad un certo punto, anzi sul più bello, lasciare tutto e imboccare un sentiero totalmente nuovo e diverso.
Dio sa attirare, perché la misura della nostra indigenza può essere colmata solo dalla sua divina misura. Sa corteggiare, perché è innamorato dell’uomo; sa insistere, fino a fare breccia nelle paure.
Chi si è avventurato nei sentieri ardui e meravigliosi della vocazione, lo sa: notti insonni, e quella domanda: “Proprio io? Perché?”; e intanto le cose solite perdono la loro presa mentre le cose di Dio diventano sempre più attraenti, e quell’ipotesi che non volevi proprio considerare, cioè la prospettiva di cedere a lui le redini della tua vita, diventa una possibilità serissima. Perché intuisci che se gli dici di sì Lui si prende tutto. Ti acciuffa lasciandoti sospeso, senza più la terra delle tue sicurezze a fare da base solida sotto i tuoi piedi. Ti mette sulle spalle un intero popolo. Ti rende partecipe della sua compassione per tutti: a tal punto arriva la sua stima per l’uomo.
Abbandonare e trovare. Lasciare e abbracciare: i verbi della vocazione seguono queste traiettorie di radicalità. Con la quale non si scende a patti. Dal “tuo” al “Suo”, dal tuo piccolo mondo ai suoi interessi, tutti rivolti al nostro bene: “perché abbiano la vita”.
Agostino ha narrato nelle Confessioni come venne raggiunto e conquistato da Dio. Nel solco del suo sì ancora oggi molti giovani trovano la forza di pronunciare il loro.
«O Dio,
Tu hai chiamato e gridato: hai vinto la mia sordità;
hai balenato, sfolgorato,
hai dissipato la mia cecità;
hai diffuso il tuo profumo,
e io l’ho respirato e ora anelo a Te.
Ti ho gustato e ora ho fame e sete.
Mi hai toccato
e ardo dal desiderio della tua pace».