Luce che fa vedere ciò che c’è
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno (Gen 1, 3-5).
In genere noi vediamo le cose per come dovrebbero o potrebbero essere, colorate delle nostre aspettative o delle nostre paure; così, tante volte ci accade di smarrire la realtà delle cose, di non riuscire a coglierle per se stesse.
La luce permette di vedere le cose come sono per davvero. Il servizio che la luce ci offre consiste nell’ancorarci alla realtà, nell’aiutarci ad abbracciarla per com’è; senza fughe, senza “irrealismi”, senza sogni fuori posto.
Le tenebre sono vaste e fitte, non solo fuori di noi, ma anche dentro di noi. «Signore, fa’ che non sia il mio buio a parlarmi!», pregherà, da convertito, Agostino. Ma prima di arrivare a quel momento, quanto errare, quanti sbagli! E quanto tempo sprecato, buttato via… anni e anni trascorsi nel buio degli affetti, nell’oscuramento della verità. Era riuscito a raggiungere una posizione invidiabile e un sapere vasto e approfondito. Eppure era infelice e la sua vita girava a vuoto. Come lui stesso afferma, voltava le spalle alla luce e il viso alle cose illuminate; e così il suo viso che osservava le cose illuminate restava in ombra (cf Conf. 4,16,30).
La luce si riceve, ci dice la pagina del Genesi: non ce la diamo da noi stessi. Occorre andare alla sua fonte, per domandarla, con umile dolce perseveranza: Alla tua luce, Signore, vediamo la luce! (Sal 35, 10).
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«O Verità che illumini il mio cuore,
fa’ che non siano le tenebre a parlarmi!
Mi sono buttato in mezzo ad esse
E mi sono trovato al buio,
ma anche da quaggiù ti ho amato tanto.
Mi sono smarrito,
ma mi sono ricordato di te.
Ho sentito la tua voce alle mie spalle,
mi diceva di tornare indietro;
l’ho sentita a malapena,
a causa dell’inquietudine
che tumultuava in me,
ma ecco che ora torno
assetato e desideroso della tua fonte.
Nessuno m’impedisca di avvicinarmi a lei:
ne berrò e vivrò.
Non devo essere io la mia vita:
da solo ho vissuto male,
sono stato morte per me stesso;
in te ritorno a vivere.
Parlami tu, istruiscimi».
(Conf. 12,10)