La sapienza del tempo
Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno (Genesi 1,14-19).
Alzare gli occhi al cielo e osservare di volta in volta la posizione del sole o della luna è stato l’atteggiamento con cui l’uomo, per secoli, ha contato le ore del giorno e della notte. Non, quindi, il ripiegarsi compulsivo sul quadrante del proprio orologio, nell’illusione di governare il tempo, ma il guardare oltre se stessi, in un atteggiamento sicuramente più “estatico” e contemplativo di noi, che stiamo così ricurvi a perseguire la precisione dell’orario e viviamo schiavi degli appuntamenti che si inseguono, di minuto in minuto. Ne derivava la capacità di vivere in obbedienza al tempo, senza volerlo spremere compulsivamente fino all’ultimo secondo.
C’è il tempo del lavoro e quello del riposo. Il tempo della festa e quello del lutto. Un tempo per nascere e un tempo per morire, ci ricorda il libro di Qoélet.
Il fluire del tempo, nel procedere della vita, si aggancia a ciò che di significativo accade al suo interno. È la qualità, insomma, a rendere diversi i momenti che di per sé si succedono tutti uguali.
Grande stoltezza non approfittare del tempo per fare il bene; per convertirci; per volgerci a Dio.
Grande stoltezza dilapidare il tempo in corse dietro agli idoli.
Grande stoltezza vivere nell’affanno di obiettivi da perseguire, e dimenticare di fermarci per lasciare spazio alla meraviglia, alla riflessione, a guardare fuori, attorno e sopra di noi.
Grande stoltezza rimandare il tempo delle decisioni da cui dipendono la direzione e il senso della propria vita.
Nel vocabolario di Agostino, tanta importanza hanno le espressioni legate al tempo: tardi; domani; differire; rimandare; adesso; ora. Ascoltiamo le sue stesse parole: «E uno stupore grande mi prendeva e un’angoscia, quando pensavo al tempo che era passato dai miei diciott’anni, dal giorno in cui m’aveva preso la passione per la ricerca della sapienza e avevo deciso, appena l’avessi trovata, di farla finita con le speranze vacue e le follie bugiarde dell’ambizione. Quanto tempo! E ormai avevo trent’anni e ancora mi dimenavo nello stesso fango con l’ansia di godere le gioie presenti che fuggivano e mi dissipavano… e io mi dico “domani, domani troverò, tutto mi sarà chiaro, l’avrò in pugno… e vada tutto alla malora, basta con questi giorni vuoti e insulsi… E mi dicevo tutto questo e il mio cuore oscillava ai venti alterni, e intanto il tempo passava, e io tardavo a convertirmi al Signore e differivo di giorno in giorno la vita in Te, mio Dio, e la morte quotidiana in me stesso: l’amavo, sì, la felicità, ma mi faceva paura, là dov’era, e la cercavo fuggendola…» (Conf. 6,11,18-20).
La conversione segna per Agostino una cesura nel suo modo di vivere il tempo: se prima sprecava il tempo, dopo il suo sì a Dio tutto prende un ritmo diverso. E della sua vita non sciuperà nemmeno la più piccola stilla di tempo. Le ore del giorno occupate nel predicare, nella cura del suo popolo di Ippona; le ore della notte dedicate alla meditazione e allo studio della Parola di Dio.
***
Tardi t’amai,
Bellezza tanto antica e tanto nuova;
tardi t’amai!
Tu eri dentro di me,
e io stavo fuori,
ti cercavo qui,
gettandomi, deforme,
sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me,
ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te
Le creature che, se non esistessero in te,
non esisterebbero per niente.
Tu mi hai chiamato,
il tuo grido ha vinto la mia sordità;
hai brillato,
e la tua luce ha vinto la mia cecità;
hai diffuso il tuo profumo,
e io l’ho respirato,
e ora anelo a te;
ti ho gustato,
e ora ho fame e sete di te;
mi hai toccato,
e ora ardo del desiderio della tua pace.
Conf. 10,27