NOVENA S. AGOSTINO 2021 Dal deserto al giardino 7° giorno

Tra cervi e colombe

Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». E fu sera e fu mattina: quinto giorno. (Genesi 1,20-23)

La vita si espande, sotto la benedizione di Dio.

Il vocabolario di Dio è la benedizione. Che è quel modo tutto suo di dire il bene e così propagare vita.

Restare nella benedizione, non come un talismano che ci preservi dai rovesci della vita, ma come custodia che consente alla vita di andare avanti, proseguire, svilupparsi.

Essere benedetti da Dio, per benedire, a nostra volta: una vocazione che riguarda tutti.

Ricominciare a benedire: la nostra storia, con le sue ferite e anche i suoi passaggi in chiaroscuro.

Benedire le persone che non ci hanno compreso, e anche quelle che ci hanno fatto del male.

Benedire, perché la vita penetri in quelle pieghe dolenti e le trasformi, da cicatrici, in feritoie di luce.

Dio sa approfittare anche di ogni cosa andata storta per farne un ricamo di grazia.

Il contrario della benedizione è la mormorazione: quel dire di traverso, recriminando, o spargendo diffidenza, instillando disistima, sfiducia, sospetto.

Il nostro parlare ha la possibilità di far crescere vita, ma anche, drammaticamente, di toglierla. Si tratta di scegliere quale vocabolario vogliamo fare nostro: se quello della benedizione o quello della mormorazione.

Agostino guarda estatico la creazione, e in ogni essere vivente coglie un simbolo e un messaggio.

Nelle colombe vede la semplicità che non cerca i propri interessi; che non rimanda al domani il bene che può fare ora; nel loro modo di vivere vede la possibilità di una comunione basata non sul tornaconto, ma sulla gratuità.

Agostino, poi, paragona se stesso, assetato della vita di Dio, ad un filo d’erba.

Ma è l’immagine dei cervi quella che lo affascina maggiormente: in loro egli vede le disposizioni con cui andare a Dio: non con un cuore lento o pesante ma agile e veloce, che tiene ben presente davanti a sé la meta. I cervi, inoltre, sono un simbolo del vero stile cristiano: vivere uniti, portando i pesi gli uni degli altri:

Dicono che i cervi, quando camminano nella loro mandria,

oppure quando nuotando si dirigono verso altre regioni,

appoggiano la testa gli uni sugli altri,

dimodoché uno precede,

e lo segue un altro che appoggia il capo su di lui,

e il terzo lo appoggia sul secondo

e così via fino alla fine del branco.

Il primo che porta il peso del capo di quello che lo segue,

quando è stanco va in coda,

in modo che il secondo diventa il primo

e lui appoggiando la testa sull’ultimo

possa riposarsi dalla sua stanchezza;

in questo modo, portando alternativamente il peso,

portano a termine il viaggio

senza allontanarsi gli uni dagli altri.

(Esp. Sal 41, 4)

 

Commento

  1. Cinzia Solera dice

    L’immagine del cervo così regale e ad un tempo così mansueto e caritatevole mi ha fatto riflettere. Sembra un po’ l’emblema di un “animale sociale” nel senso cristiano più autentico. Davvero abbiamo ancora tanto da imparare da Sant’Agostino, e dalla natura da lui interpretata.

Invia commento

Prenota il tuo posto