Qualcosa che vinca la forza di gravità.
Il chiodo è un antichissimo espediente per prevalere sulle leggi della fisica. Un piccolo ferro allungato, appuntito ad un’estremità: nulla di più semplice.
Strumento per costruire, sì, per assemblare, unire, affiggere, ma anche, all’opposto, per ferire, forare, e addirittura infierire.
Entrano in profondità nelle mani del Crocifisso, a lacerare, piagare indelebilmente. Eppure quei chiodi non sono solo crudeli. Sono anche una chiave, che dischiude un deposito di infinita dolcezza; quelle mani, così rese immobili, convertono il gesto del nostro prendere:
Prendete il mio giogo sopra di voi (Mt 11, 29)
Prese i pani, rese grazie, li spezzò e li dava (cf Mt 15, 36)
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16, 24)
«Prendete, mangiate: questo è il mio corpo» (Mt 26, 26)
Qualcosa che vincesse la forza di gravità del prendere-per-sé, altro nome dell’egoismo.
Sì: per noi sono dolci i chiodi che sostengono, sul dolce legno, il dolce corpo di Gesù.
(Foto: Giovanni Piccirillo, Crocifisso – part.)