Un callo di anni e anni. Ormai non se ne andrà più via. Ha cominciato a formarsi sui banchi di scuola, stringendo la penna e iniziando a comporre le prime lettere. Scarabocchi, i fogli dei quaderni con le immancabili “orecchie”, pur nel tentativo di evitarle, e l’inchiostro a impiastricciare le mani. Poi, via via la scrittura si faceva più lineare, sempre accompagnata da quell’inseparabile strumento non solo dello scrivere, ma prima ancora del pensare. Schizzi, intuizioni e idee messe “nero su bianco” e poi corretti, riscritti, cancellati ma in modo da poterli ancora leggere e rielaborare.
La penna conserva tuttora la sua funzione, anche se nel frattempo ha assunto altri nomi o è stata parzialmente sostituita dalla scrittura digitale. Che permette mille cose e altre ancora, ma non consente il contatto materiale col foglio e lo scorrere dell’inchiostro col suo caratteristico odore: elementi non così secondari per la poetica dello scrivere.
Mentre noi ci industriamo a smaterializzare ogni cosa, lo Spirito Santo continua a preferire le povere “penne” che siamo, fatte di cuore e di carne, di sentimenti e pensieri confusi, di passioni e limiti, per portare avanti il suo poema: ci vuole un’arte divina per trarre dallo scuro inchiostro dell’umano, componimenti che sanno di eterno.
Lo Spirito farà cose belle, quanto più sapremo offrire a lui la nostra povertà. Senza pretendere di essere raffinate stilografiche, ma accontentandoci di restare semplici biro.