Che gusto ha Dio?
Potrebbe sembrare una domanda strana, quasi assurda. Siamo abituati a pensarlo, Dio, a riflettere su di lui; al più, a parlargli. Ma com’è possibile che Dio abbia un gusto, un sapore?
Ormai dovunque troviamo a disposizione cibi accattivanti: conditi con “esaltatori di sapidità”, col loro gusto ci catturano, in maniera invincibile. Stuzzicano la gola, le papille gustative diventano iperattive, e così a un boccone ne segue subito un altro, con una voracità dove non si bada ad assaporare, ma piuttosto a riempirsi.
Solo che poi ci ritroviamo tristi. Credevamo di saziarci, invece restiamo ancor più vuoti.
Avevamo iniziato per fame, ora finiamo col tedio.
Oggi festeggiamo la patrona d’Italia: santa Caterina da Siena. Questa giovane donna così lontana a noi nel tempo, ci ha lasciato pagine di fuoco, che a rileggerle, ora, ci lasciano senza fiato: Il Dialogo della Divina Provvidenza. Lì troviamo un’espressione meravigliosa, che parte da uno spiraglio autobiografico di Caterina: «Io ho gustato e veduto con la luce dell’intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Tu sei dolce senza alcuna amarezza».
A volte ci ritroviamo dentro con gioiosa sorpresa un piccolo squarcio di gratitudine, affiorata non sai dirti come; una luce di pace a rischiarare certi malumori ruminati fin troppo a lungo, e quella luce non hai fatto nulla per procurartela; un proposito di bene che si fa strada, vittorioso di quei calli induriti che ristagnano in cuore; e una parola amica, che ti raggiunge magari senza averla cercata: sono tutti indizi del gusto di Dio: lo portiamo in noi, ma non lo sapevamo…
Caterina è la coraggiosa ambasciatrice presso il papa, colei che si spenderà per l’unità della Chiesa, per la pace nella sua amata città di Siena, per il ritorno del Papa a Roma. Tanto coraggio le nasceva dall’alimentare il gusto di Dio, assaporandolo a lungo dentro di sé, attraverso la consuetudine col silenzio, con la preghiera e con gli amici di Dio: vale la pena ricordare che Caterina amava frequentare l’Eremo di Lecceto e intrattenersi in colloqui spirituali coi monaci agostiniani, in particolare con fra’ William Fleet, con cui parlava della forza del sangue di Cristo.
Prima e come Caterina, Agostino scopre che il vero gusto ce lo portiamo dentro, e che tutto prende a funzionare nel modo giusto quando impariamo a trattenere in noi con scaltrezza evangelica, difendendolo da ogni surrogato, l’incomparabile gusto di Dio:
«Ti ho gustato, o Dio, e ora ho fame e sete di te. Tu, cibo per la bocca della mia anima.
Quando amo il mio Dio, amo una sorta di cibo: il cibo dell’uomo interiore che è in me, dove è colto un sapore non attenuato dalla voracità» (cf Confessioni).
L’ultima parola va lasciata a Caterina: «Non accontentatevi delle piccole cose. Dio le vuole grandi. Se sarete quello che dovete essere, mettere fuoco in tutta Italia».
Il gusto di Dio ci dà la forza per imprese che valgano la pena.
Foto: Santa Caterina, monumento vicino a Castel Sant’Angelo, Roma (part.).
Commenti(3)
Laura dice
29 Aprilee 2024 alle 15:42“Tu sei dolce senza alcuna amarezza”!
Di chi altro si può dire lo stesso?
S.Caterina patrona di questa nostra bella Italia donaci il coraggio di continuare a sperare in un futuro di libertà e democrazia; unico vero deterrente alla paura di questi giorni incerti.
Isabella dice
30 Aprilee 2024 alle 19:00Quello che scrivete care Sorelle è bellissimo e non mi sento di aggiungere altro , non c’è gusto nella nostra vita se non conosciamo Gesù. Grazie infinite e buona settimana a tutte voi
Giuseppe dice
5 Maggio 2024 alle 19:32È bello che maggio, mese mariano per eccellenza, cominci con una festa dedicata a San Giuseppe, il Giusto per eccellenza. Giusto non perché abbia dato a ciascuno il suo, ma perché, come Maria, si è conformato alla volontà di Dio.
“Essere ciò che dobbiamo essere” cioè “Conformarsi alla volontà di Dio”, sull’esempio di Maria e Giuseppe, è la chiave che Santa Caterina vede perché possiamo soddisfare il grande desiderio di Gesù “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49).
Dobbiamo però accettare il fatto che ognuno di noi nell’amore del Signore è unico: “Ecco ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Is 49,16) ed ha una sua specifica missione. Conoscere chi sei per essere chi vuoi: in questo, care sorelle, voi siete maestre se si pensa al lungo periodo di preparazione che precede la vostra professione solenne.
Questa unicità dello spirito (molti sono i carismi…) si associa all’unicità del corpo ed il “gusto” che avete messo in gioco ne è la più chiara dimostrazione: famoso è il detto “De gustibus non disputandum est!”; i gusti sono soggettivi ed ognuno ha diritto ad avere i suoi.
Ma può il gusto, uno dei cinque sensi, fornirci indicazioni sul “sapore di Dio”? Semplicemente sì grazie all’umile Gesù che, “incarnando” la parola, ha annullato la distanza tra materia e spirito. È così vero questo concetto che qualcuno (Tertulliano) scrive: caro cardo salutis (la carne è il cardine della salvezza).
L’amore per i fratelli è la strada maestra per poter gustare pienamente l’amore del Padre. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. (1Gv 4,20)
Possiamo tradurre così queste parole di Giovanni: “Ho cercato la mia anima, ma non riuscivo a vederla. Ho cercato il mio Dio, ma il mio Dio mi sfuggiva. Ho cercato mio fratello e ho trovato tutti e tre.”