Le parole del Lunedì/  OASI

Una macchia verde grande come un francobollo, a interrompere la distesa sconfinata della sabbia. Ormai a secco con le tue riserve salvavita, finalmente trovi di che fare il pieno: ombra, fresco, e soprattutto – e soprattutto – acqua. Ché senz’acqua si muore per davvero.

Nell’immaginario collettivo, l’oasi funziona un po’ come i distributori di benzina quando scopri che stai viaggiando col serbatoio in riserva.

Molti, quando salgono al Monastero, ci paragonano ad un’oasi. Ma è proprio così? Sì e no…

Nella desertificazione in atto nel campo delle relazioni umane, un monastero ancora coltiva bellezza; e ricerca; e poi quella perla così delicata e preziosa che Agostino chiama dilectio: una forma di amore che tiene insieme l’intensità pura della carità e la carica di passione propria dell’eros.

Eppure noi monache istintivamente sentiamo che il binomio oasi-monastero non è così preciso, perché si presta a pensare che ci siano due modi di vivere: uno fuori, nel deserto, dove le cose non funzionano, o funzionano male; un altro, invece, dentro, nel monastero, dove al contrario tutto sembra funzionare a meraviglia. Quasi con facilità.

Ma noi che questa vita la abbiamo abbracciata con consapevolezza, sappiamo che il monastero è tutt’altro che un riparo, e meno ancora un rifugio; se pensi che dentro si viva l’idillio, ti sbagli di grosso. C’è da fare i conti con la dolorosa scoperta che il deserto non sta fuori di te, né fuori della porta del monastero, ma che te lo porti dentro: se non ti decidi ad affrontarlo in una strenua, coraggiosa battaglia, alla fine sarà lui ad avere il sopravvento, fino a trasformarti in una statua di sale…

Ecco cos’è un monastero: una vera e propria trincea. Ogni giorno ricomincia la lotta, armati delle armi che Dio stesso fornisce: la preghiera; l’umile fiducia; la conversione costante.

C’è uno sconfinato fiume di dolore che ininterrottamente scorre dalle ferite aperte dell’umanità piagata: chi lo raccoglie? Chi lo depone sotto gli occhi di Dio? Le silenziose esistenze dei monaci, delle monache.

Il grido del cuore umano, chi è disposto a intercettarlo e farne preghiera da rivolgere a Dio?

Stare davanti al Signore per altri intesse una prossimità più vera di mille chat.

Se di oasi si vuole parlare, questa è nel senso della profondità. Come nel deserto le oasi sono possibili perché le piante affondano le loro radici nel terreno fino a intercettare falde sotterranee, così nel monastero il vivere si radica sempre più in profondità, fino a raccogliersi tutto attorno a Cristo, vera fonte interiore. Allora il modo di guardare e di sentire si irrora di compassione, e il linguaggio dell’orgoglio, dell’ira, del giudizio, lascia il posto a sole poche parole: “grazie – che bello! – Dio ti benedica – perdonami – permesso”.

Attingere alla vita del monastero e cominciare a dare spazio a piccole oasi anche lì dove vivi tu: è così che il regno di Mordor, il suo secco desertificante, può trovare uno sbarramento.

Aiutiamoci.

Foto: il Monastero S. Agostino avvolto dai colori del giardino, piantato lì dove prima erano solo macerie, rovi e pietre.

Commenti(3)

  1. Vincenzo dice

    Apprezzo molto questa descrizione realistica del monastero che fa giustizia di troppi luoghi comuni. Il monastero luogo vivo di incontri, scontri, momenti di gioia e di tristezza. Mi ricorda il mea maxima poenitentia vita communis. Fede è sapere che Cristo è lì anche se la tempesta ci fa paura.

  2. Laura dice

    Grazie care Sorelle, grazie che ci siete e che ci siete anche per noi. Perché da lì dal Monastero,non solo ci sostenete nella battaglia contro Mordor ma continuamente ci sollecitate a pensare, a tornare a guardare in alto, perché il Signore sia il centro della vostra e nostra vita. Grazie

  3. Isabella dice

    Nel deserto non si sopravvive eppure è lì che Gesù è andato per 40 giorni, affrontando la fame, la sete, e tentato dal demonio. Quella sofferenza e quella solitudine però lo hanno preparato per affrontare quello per il quale era nato. Il deserto dobbiamo affrontarlo pure noi e può trovarsi fuori ma spesso lo teniamo dentro. L’oasi poi è la gioia dopo la sofferenza. Grazie sorelle buona settimana a tutte voi

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