Le parole del Lunedì/  MINESTRA

Perfino nel caldo estivo resiste. Surclassata, ma non spodestata, da piatti unici e ritrovati esotici, ancora sappiamo la minestra cos’è.

Forse immediatamente la associamo a certe cene dalla nonna, con brodo e cucchiaio. Oppure la circoscriviamo a sinonimo di cosa monotona e ripetitiva.

Eppure ‘minestra’ trattiene un significato ricchissimo. Dice servizio, nella sua etimologia. Quella razione di cibo di cui hai bisogno, puoi anche procurartela da te, magari smangiucchiando in fretta e in solitaria qualcosa rovistato nel frigo.  Ma quando ti viene presentata da qualcuno che ha impiegato del suo tempo per preparartela, e per giunta te l’amministra, te la versa nel piatto, questo gesto di amore ha una forza straordinaria.

Forse stiamo un po’ smarrendo una componente peculiare del prendere cibo insieme: essere, a turno, colui che riceve e colui che serve, che mette nel piatto. Ci vuole molta attenzione per questo: si tratta di capire fin dove devi arrivare nel versare, senza essere legato alla tua misura, ma piuttosto mettendoti, in maniera estroversa, in sintonia con le esigenze dell’altro. Senza però cadere nell’eccesso di una dose che non finisce mai.

‘Minestra’ trattiene, in profondità, l’importanza delle relazioni: un atto così comune come il mangiare, se vissuto insieme diventa altra cosa del mero introiettare cibo; diventa servirsi a vicenda, reciproca attenzione, quindi anche parole, domanda e risposta: “Favorisci!”, “Va bene così?”, “Ancora?” “Gradisci?”, e via dicendo, in un ricamo di discorsi propiziati proprio da quella semplice porzione servita nel piatto.

Grazie, Marta di Betania, per quella cena preparata al Maestro: volevi farlo contento, e anche fare tu bella figura… Inaspettatamente, hai ricevuto un’indimenticabile lezione (Lc 10, 41-42).

Ma di quella tua minestra c’è traccia ancora, nel Vangelo.

Commento

  1. Giuseppe dice

    Care Sorelle,
    oggi la festa di Santa Maria degli Angeli è per me come un invito a condividere il mio pensiero con le vostre belle parole del lunedì, specie di quest’ultimo che riguarda “la minestra”, parola – come voi dite – apparentemente banale, ma simbolo di comunità e condivisione che ci ricorda il vangelo di domenica scorsa: la moltiplicazione dei pani e dei pesci!

    La minestra racchiude in sè il valore che è la pietra angolare del cristianesimo: la povertà! Non è infatti difficile ricordare che piatti come la ribollita e l’acqua cotta fossero definiti piatti poveri e abbiano regnato in Toscana (per citare una regione) per decenni e decenni. Ribollita, piatto magro che le che le donne preparavano il venerdì in abbondante quantità per poi venir utilizzato (ribollito) nei giorni successivi: la preoccupazione non era quella di mangiar più volte la stessa cosa ma di avere qualcosa da mangiare…

    Si racconta che negli ultimi anni Elsa Morante chiedeva a tutti quale fosse la frase più vera, quella che riesce ad esprimere al massimo il sentimento d’amore. Tutti rispondevano usando parole ricercate, quelle che ritenevano più romantiche, più toccanti. Lei invece rispondeva: No, la frase d’amore, l’unica, è “Hai mangiato?”.
    Non è un vezzo di una scrittrice, in Cina uno dei modi per chiedere “come va?” è chiedere “hai mangiato?”.

    Per me, poi, la minestra ha un ricordo del tutto personale e mi riporta all’infanzia, quando mia mamma mi invitava ad andare con lei a raccogliere le erbe spontanee commestibili dei campi: la regina era la cicoria, seguita dal finocchio selvatico e dalla camomilla. Ricordo la cura e quanti “dettagli” la mamma seguisse per fare una buona minestra e come i suoi occhi fossero pieni di gioia nel servircela.

    “Dettagli” anche questa una parola quasi in disuso. Gesù ce ne ricorda l’importanza proprio nel vangelo di domenica scorsa: prima della moltiplicazine dei pani e dei pesci, l’evangelista fa notare che quello era un “luogo pieno d’erba”, un luogo per condividere il cibo comodamente.

    Nell’episodio di Marta e del Maestro(Lc 10,38-42) spesso si pone troppa enfasi nella priorità tra “Ora” e “Labora”, penso che nella nostra routine quotidiana dovremmo essere semplicemente più bravi a trasformare il servizio in preghiera (“Lab-Ora”).
    Si dice che “le mani che aiutano siano più sacre delle labbra che pregano”; nella mia vita ho visto che “le mani che aiutano sono quasi sempre le labbra che pregano”.

    Buona Festa, Sorelle!

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