Li pensiamo in genere dall’aspetto grave e serio, e immancabilmente nella maturità o meglio senilità degli anni; il riferimento è, come si può facilmente immaginare, ai santi. In tante chiese S. Antonio eremita, di cui oggi ricorre la memoria liturgica, è rappresentato come un anziano sostenuto da un bastone e con accanto un animale. Il rischio però è dimenticare che Antonio maturò la sua decisione di dedicarsi radicalmente al Signore nella freschezza dei suoi diciott’anni.
Un giovane di 18 anni che compie un gesto fortemente contestatore verso la cultura omologante del suo tempo, e con coraggio e sapienza intraprende un sentiero nuovo, che poi in molti seguiranno. Antonio non lascia il mondo per paura delle difficoltà che vi avrebbe incontrato, insomma non lo abbandona per “rifugiarsi” nel deserto, dunque in un luogo al riparo dalle insidie e dalle complessità della vita sociale. Antonio compie la sua scelta con consapevolezza ponderata, soppesata.
Non c’erano i genitori a consigliarlo: era orfano. E sempre nella giovinezza dei suoi 18 anni pensa anche alla sorellina più piccola, come provvedere anche a lei in quella situazione di orfanezza.
Antonio, il giovane orfano che decide di inoltrarsi nel deserto per sostenervi la battaglia più ardua: quella con le “fiere” che abitano il cuore.
Antonio, il diciottenne che “non ci sta” a lasciarsi convincere che la felicità sia a portata di touch.
Perché la felicità è qualcosa di più faticoso e affascinante insieme.
Antonio, l’affascinato contestatore….
Si può contestare in tanti modi: con la rabbia dentro, per esempio, e allora si finisce col distruggere tutto e tutti.
Ma si può contestare anche perché si è trovato qualcosa di meglio. E questo è proprio il caso di Antonio: nella “incosciente sapienza” dei suoi diciott’anni scopre il profumo del Vangelo di Gesù: un modo altro di vivere, e alto, ma proprio per questo più attraente di tante seducenti proposte a-portata-di-mano.
Sarà per questo che il trentenne Agostino, all’apice della carriera e del suo senso di insoddisfazione, ricevette una scossa formidabile dall’ascolto della vita di Antonio; e si può dire che rimase sconvolto dal gesto di quel giovane appena diciottenne. Lui, il colto e raffinato retore, superato e surclassato nelle scelte della vita, quelle che contano, da un semplice ragazzo. Riascoltiamolo narrare nelle Confessioni:
“Un giorno viene a trovarci l’amico Ponticiano. Ci raccontò la storia di Antonio, un monaco egiziano, il cui nome brillava in chiara luce fra i Tuoi servi, mentre per noi fino ad allora era oscuro. Quando se ne avvide, si dilungò nel racconto, istruendoci sopra un personaggio tanto ragguardevole (…) Noi eravamo stupefatti all’udire le tue meraviglie, o Dio, potentemente attestate in epoca così recente, quasi ai nostri giorni, e operate nella vera fede della Chiesa cattolica. (…)
Di qui il suo discorso si spostò sulle greggi dei monaci, sulla loro vita, che t’invia soavi profumi, e sulla solitudine feconda dell’eremo, di cui noi nulla conoscevamo”. (Conf. 8, 6,14-15).
Se Agostino divenne monaco, fu anche perché prima di lui Antonio nella freschezza dei suoi diciott’anni intraprese quel cammino. E aprì per molti una via. Che da duemila anni non smette di attrarre uomini e donne.
Antonio, Padre di monaci, prega per i nostri giovani.
“Disse l’abate Antonio: Chi siede nel deserto per custodire la quiete con Dio è liberato da tre guerre: quella dell’udire, quella del parlare e quella del vedere. Gliene rimane una sola: quella del cuore.”
S. Antonio Abate (sin.) e S. Agostino Vescovo