Le nostre Sorelle Agostiniane di Cascia hanno un grande privilegio: custodire il corpo di S. Rita. In questo privilegio, ne è ricompreso un secondo, tutto per loro. Poter vedere da vicino il corpo della santa di Cascia. Ed ecco la sorpresa: colei che è invocata come la santa “degli impossibili”; colei che mette in moto ogni anno un flusso gigantesco di pellegrini; colei che è venerata, nota e amata in tutto il mondo, era una donna minuta e di bassa statura: un metro e cinquanta, un metro e cinquantacinque al massimo….
Piccola grande Rita… piccola, ma gigantesca donna di fede.
Ripercorriamo con volo d’aquila la sua vicenda, per cogliere accenti ulteriori nel tanto che già conosciamo …
Rita da bambina aveva un sogno: consacrare tutta la sua vita a Dio. Vivere per Lui. La familiarità con Dio, sentito non come un ente astratto e distante, ma come una presenza prossima e costante accanto a lei, era maturata in famiglia. Rita ebbe un’infanzia radiosa, tutta circondata com’era dall’affetto di mamma e papà, e educata e cresciuta dalla loro fede.
Erano tempi non facili, quelli di Rita. Ma quali tempi non sono facili?
La Cascia del suo tempo (1380-1457 circa) era sconvolta da faide e guerre tra famiglie per il potere. Bastava un niente per trovarsi a esporre la propria vita in duello, per difendere l’onore, il potere, il dominio proprio o di questo o quel casato. Tempi distanti dai nostri? Forse non tanto, tutto considerato…. I nostri forse non conoscono la medesima violenza fisica dei tempi di Rita, ma hanno ascoltato fin troppo discorsi violenti; respirato fin troppo l’aria pesante dei nostri rancori non digeriti; visto circolare fin troppo i fantasmi delle nostre paure, che ci vorrebbero indurre ad una nuova “corsa al riarmo”, presi come siamo dal pensiero che forse occorre predisporsi adeguatamente, per difendersi meglio da eventuali nemici…
I genitori di Rita, in quel clima di violenza e di sangue, svolgevano un compito arduo, delicato e indispensabile: erano pacieri. Una sorta di… “mission impossible” la definiremmo oggi, quella di paciere. Si trattava, infatti, di mettersi di traverso, fra persone che si odiavano; ascoltarne i rigurgiti di astio, minacce e vendette, senza alimentarli; raccoglierne le parole velenose e gli sfoghi infuocati, conservandosi imparziali; e poi, tenacemente, coraggiosamente, e anche con un pizzico di sagacia, proporre itinerari diversi, prospettare vedute ulteriori rispetto a quelle, fisse e monocordi, dei due contendenti, che altro non riuscivano a vedere che il torto subito e la morte dell’avversario.
La lezione della pace, da costruire dentro di sé e da promuovere fuori di sé, Rita la apprese in famiglia; la assorbì dai suoi genitori.
La storia andò in modo diverso dal desiderio della giovanissima Rita, e lei si trovò sposa di un uomo buono e violento, un uomo “del suo tempo” insomma. Rita non visse la cosa come costrizione, ma sposò davvero e fino in fondo il suo stato di moglie prima, e poi di madre: prodiga di amore al marito e di dedizione ai figli e alla casa.
Desiderava trasmettere nella sua nuova famiglia ciò che lei aveva ricevuto nella sua di origine: amore, pace, e la gioia dello stare insieme in armonia.
Ma quella gioia non durò a lungo. Il marito infatti si ritrovò invischiato fino al collo nelle faide cittadine, e un giorno a Rita fu recata la tremenda notizia: era stato assassinato. Il mondo le crollò addosso. Chissà cosa sarà passato nel suo cuore. Si sarà ricordata di tante altre vedove che aveva visto rivolgersi ai suoi genitori, affrante dal dolore e con la richiesta di aiuto o semplicemente in cerca di una spalla su cui piangere; le sarà probabilmente sfiorato dentro un senso di sconfitta, e l’avrà visitata forse anche il dubbio che in quella città così violenta non c’era niente da fare e ogni sforzo di remare in maniera contraria rispetto all’andazzo imperante era ingenuo, inefficace, inutile…
Senz’altro, ricorse alla preghiera e lì chiese aiuto a Dio, a quel Dio cui aveva imparato a rivolgersi con fiducia, fin da bambina.
E da Dio trasse la forza di rialzarsi, di non restare inchiodata al proprio dramma. Le restavano i due figli. Ragazzi troppo giovani, esposti ad assorbire i fumi della vendetta che già più di un parente voleva insinuare in loro: il sangue del padre andava vendicato.
Rita sapeva, per esperienza personale, che l’odio uccide il futuro, con le sue spirali di morte, con le sue vendette trasversali, con le catene infinite di uccisioni, rappresaglie, rivendicazioni. L’odio uccide il futuro: di colui che lo coltiva in sé; della città in cui ha libero corso. Non solo: l’odio sfigura il cuore, i sentimenti, l’umano.
“Signore, la tua grazia vale più della vita” (Sal 63, 4): forse Rita si sarà ricordata di questo salmo, per trarre la forza per chiedere a Dio che preservasse i suoi figli da una morte violenta, e prima ancora e soprattutto, che li preservasse dal trasformarsi in sanguinosi, truci omicidi.
I figli in breve tempo si ammalarono, e lasciarono questa vita nel fiore della loro giovinezza incontaminata dal male.
Restava Rita, sola col suo dolore… il “caso impossibile” sembrava essere proprio il suo: privata degli affetti più cari e di futuro…
Cosa poteva fare una donna, per giunta vedova di un assassinato e sola, nella Cascia violenta del Quattrocento? In una città dove era normale sentire il rumore delle spade sfoderate; dei ferri incrociarsi e sfidarsi in duello?
Rita non si domandò cosa avrebbero dovuto fare i governanti della sua civitas; non si lamentò per le insolvenze, le omissioni e l’omertà di molti; umilmente e tenacemente, perseguì in prima persona il duro e lungo sentiero della riconciliazione. E alla fine ottenne la pace fra la sua famiglia, quella del marito assassinato e quella degli uccisori.
A volte basta una persona sola, che sfidi l’andazzo corrente inoltrandosi in un sentiero diverso. Rita scelse il sentiero del Vangelo, che parla di perdono a chi ci fa del male, che ci invita a vincere il male con azioni volte a costruire ponti di bene… Rita prese sul serio queste parole di fuoco, e con l’aiuto di Dio, invocato con dolce insistenza nella sua diuturna preghiera, in lei divennero vita concreta. E vita anche per la sua cittadina.
La storia conserva memoria del riaffiorare di quell’antico sogno di bambina. Emergeva con forza e determinazione, ora passato attraverso il crogiolo di tanto soffrire, ma rimasto intatto nella sua forza attrattiva. Consacrare tutta la sua vita a Dio.
Dio ci prende sul serio, sempre. E non sorride dei nostri sogni di bambini, quando sono buoni e volti al bene, ma dà loro compimento, certo secondo vie che noi non avremmo mai sognato….
Dove consacrarsi? Probabilmente Rita avrebbe potuto scegliere di allontanarsi da quella città violenta, sconquassata dall’odio e dalla quale aveva patito tanto male, tanto soffrire. Non lo fece. Scelse di rimanere nel cuore di quella sua città, tormentata ma pur sempre amata; nel suo cuore orante: il monastero delle agostiniane. Nel cuore di Cascia, Rita consumò la sua vita pregando per la pace nella sua città.
Una spina segnò la sua fronte per ben 15 anni; un solco nella carne che la rendeva ancor più simile all’”umile Gesù” che mentre veniva crocifisso chiedeva perdono per i suoi crocifissori, “Perché non sanno quello che fanno”; una spina nella carne, che interiormente le scavava un solco di pace nel cuore. E Rita divenne, ed è ancora oggi, un sentiero di pace per tanti.
Il rumore delle spade, minaccioso e inquietante, della Cascia del Quattrocento, fu superato e vinto dal silenzio di quella spina, la cui “voce” continua ancora oggi. In quella spina era racchiusa tutta la vita di Rita, comprese le pieghe più dolorose e sofferte; per significare che nulla restava fuori dalla sua offerta; nulla rimaneva di non accettato, non accolto.
Una sola spina ha messo a tacere tante spade….
Rita, donna di pace e di perdono,
aiutaci ad accogliere le “spine” del nostro quotidiano,
e ottienici di saperle trasformare in mattoni
per costruire ponti di pace
con tutti.
Commenti(4)
Eugenio Nastasi dice
22 Maggio 2017 alle 13:00Che dire di più sulla vita straordinaria di una santa donna che adoperò tutta la sua oblazione alla parola di Gesù con la scelta della via stretta? S. Rita accolse il dono del dolore come un regalo perché sentiva più vicino il Signore nella passione, cioè nell’atto che riassume il più misterioso motivo la discesa di Lui in terra per redimere l’uomo.
d. Mario Corraro dice
22 Maggio 2017 alle 19:20Nella visita al santuario di Cascia mi colpì questa scritta sul portale della basilica:« Salve Rita vas amoris, sponsa Christi dolorosa / tu de spinis Salvatoris pulchra nasceris ut rosa (Salve Rita, vaso d’amore, sposa di Cristo dolorosa / tu, dalle spine del Salvatore, bella nasci come una rosa)». Grazie del bel commento fatto sulla Vostra Consorella. Auguri e Deo Gratias!
Luigi COSENZA dice
6 Giugno 2017 alle 18:53Luigi COSENZA
Rossano, 06.06.2017
Una storia molto toccante quella vissuta da S. Rita e non solo per la perdita dei propri cari in modo tragico e violento. Sola e vedova chissà quale difficoltà ha dovuto affrontare e superare. Immagino il contesto sociale e culturale del ‘400, non solo della città di Cascia; in genere una cultura intrisa di odio e vendetta, in contrasto con la Sua formazione ricevuta in famiglia, tutta dedita al trionfo della pace e del perdono. Al dramma familiare rispose con la preghiera, l’accettazione e il desiderio sempre più forte di riconciliazione. Riprese il vecchio desiderio, mai cessato, di consacrare la sua vita al Signore proprio nella città che le aveva procurato tanto dolore: Cascia. A distanza di tanti secoli dalla Sua morte, quel clima che si respirava a Cascia, in tante circostanze, sembra molto simile a quello attuale. La nostra è una società corrotta, con le famiglie ridotte a pezzi; si uccide deliberatamente dentro e fuori il contesto familiare. Una fede tiepida, il timore di Dio messo da parte. Un clero secolarizzato in buona parte. Per fortuna L’AMORE che viene profuso è ancora tanto, immenso. Quasi sempre sommerso, silenzioso: in tanti c’è sete di Dio. Bisogna ritornare alla preghiera. Bisogna ritornare a Gesù. Questo è il segreto per sconfiggere i mali della vita. Possibilmente emulare Santa Rita e affidarsi a Lei. Noi a Rossano siamo fortunati per la presenza, tra l’altro, delle Suore Agostiniane volute fortemente, a suo tempo, da S.E. Santo Marcianò vescovo della città e alle quali resto sempre legato e riconoscente. Le loro preghiere tanto bene hanno procurato a tutta la collettività, non solo nei cuori fervorosi, e, in occasione di eventi calamitosi verificatesi nel recente passato sul territorio rossanese, pur se con incalcolabili danni a cose, furono risparmiate tante vite umane, chissà perché. Certamente le Suore Agostiniane sono una benedizione di Dio e una bella espressione dell’amata S. Rita da Cascia. Lode al Signore.
Enza dice
11 Giugno 2017 alle 8:59Grazie questo è il mio commento non conoscevo la vita tragica di Santa Rita