QUARESIMALI. 3

Immagina che, nel bel mezzo di ciò che stai vivendo, con tanto di esborso di energie-sforzi-sacrifici, qualcuno cominci a contestarti. Uno arriva, ti guarda e prende di mira l’impianto della tua vita. Proprio per come l’hai impostata e per come la stai portando avanti.

Tu ce l’avevi messa tutta; ti eri impegnato per qualcosa che credevi buono e positivo; e proprio questo, ora, ti viene messo impietosamente in discussione.

Il Vangelo di questa Terza Domenica di Quaresima (Gv 2, 13-25) fotografa una situazione molto simile.

Gesù sale a Gerusalemme per la Pasqua, la festa principale del popolo ebreo. Nel tempio, cuore della città santa, egli trova gente «che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete». Attenzione. Tutta questa gente e questi animali si trovano nel tempio per un fine religioso, di culto: i sacrifici di animali facevano parte del rito della Pasqua, e i pellegrini che salivano a Gerusalemme da ogni parte della Palestina dovevano acquistarli convertendo la loro valuta con la moneta di Tiro, l’unica ad avere corso all’interno del tempio.

Gesù entra nell’indaffarato movimento in cui un pullulare di gente è immersa lì nel tempio, e compie un gesto di straordinaria audacia, di forte rottura: «allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”».

Piazza pulita di una serie di cose che di per sé non erano sbagliate; anzi, di cose necessarie per esprimere la propria fede.

Perché?

Tutta quell’impalcatura di funzioni da svolgere, di riti da officiare erano un mezzo per cercare la relazione con Dio, per restare nella memoria viva del grande evento: la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Ma nel tempio Gesù si accorge che tutta quella gente aveva smarrito il focus, il motivo di quel suo stare là: come si smarrisce una cosa quando la si dimentica.  Era subentrato il ripetere distratto e demotivato, mentre il cuore restava altrove, distaccato, lontano. E così finiva per essere trascurata la relazione con Dio; trascurata, cioè data per scontata; quasi non ci fosse più nulla di nuovo da scoprirne; nulla di ulteriore da apprendere e vivere.

La Prima Lettura ci parla del decalogo che Dio consegna a Mosè sull’Oreb (Es 20, 1-17). Dieci Parole donate da Dio al popolo di Israele; dieci parole, struttura leggera ma funzionale all’obiettivo: educare l’uomo ad una relazione matura, piena, bella con Dio, con se stesso e con il prossimo; dieci parole da ri-cordare, cioè da custodire nel cuore, da trattenere lì, in quel tempio interiore che ciascuno porta con sé.

La tappa di questa 3^ domenica ci chiede di “alzare l’asticella”: qui non si tratta di riconoscere ciò che è sbagliato in noi, nelle nostre scelte e nelle nostre azioni. Ora ci viene chiesto di passare sotto i raggi x della nostra coscienza quello che abbiamo sinora ritenuto l’impianto buono della nostra vita, per domandarci con verità: abbiamo organizzato la nostra vita attorno ad una serie di priorità; di valori; di punti importanti: ma in vista di cosa?

Ci può essere un modo di vivere la propria fede che in realtà oscura la relazione viva e vitale con Dio: si parla con la voce, assommando pratiche di pietà, ma si tace col cuore.

Ci può essere un modo di vivere in famiglia che in realtà trascura proprio i legami più vicini: ci si spende per il lavoro, e alla fine si torna a casa sfiniti, ormai non avendo per il marito o per la moglie o per i figli che le ultime residue scariche energie rimaste. E si sprofonda sul divano, ormai esauriti e nervosi, solo desiderosi di “essere lasciati in pace” davanti alla tv.

Ci può essere un modo di amare se stessi che in realtà dice eccessiva preoccupazione per sé e per la propria riuscita, per il proprio successo; si cura il proprio personale share, e intanto gli altri restano lontani, sfocati, all’ultimo posto delle attenzioni e della considerazione.

Il Vangelo di questa Domenica ci scomoda; come ci scomoda Gesù col suo modo sferzante di fare:

la sua bontà non è buonismo;

la sua dolcezza non è sdolcinatura;

la sua fermezza non è rigida intransigenza.

 

Ritorniamo al Vangelo. Così duramente contestati, i Giudei reagiscono, rivolgendo a Gesù quella domanda: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?», come a dire: “come ti permetti, come osi?”

La risposta di Gesù è per cuori non diffidenti, comprensioni non precostituite.

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Quel tempio che è il vostro spazio interiore, ma anche la vostra fraternità, io lo rinnoverò, riaprendo per voi la strada della relazione libera, filiale col Padre e  i sentieri delle relazioni fraterne fra di voi, passando attraverso la mia personale Pasqua di morte e risurrezione.

Seguiamolo così, Gesù, accettando di sentire dentro di noi il bruciore della sua sferza: azione buona, salutare, perché cada tutto ciò che solo in apparenza è buono, e risalti al cuore la memoria di ciò che conta davvero.

Ma seguiamolo anche, Gesù, condividendo il suo zelo. È S. Agostino a raccomandarci di avere gli uni per gli altri uno zelo, che sia espressione di cura reciproca, esatto contrario di quella forma di “incuria” che è l’individualismo: Ogni cristiano, essendo membro di Cristo, deve essere divorato dallo zelo per la casa di Dio. E chi è divorato dallo zelo per la casa di Dio? Colui che quando vede che qualcosa non va, si sforza di correggerla, cerca di rimediarvi, non si dà pace: se non trova rimedio, sopporta e geme (Comm. Vg. Gv 10,9).

Lasciamo che sia ancora Agostino a concludere questa riflessione: riascoltiamolo ricordare il momento in cui l’Umile Gesù si impose alla sua vita, entrando con dolce forza nel tempio del suo cuore.

Com’era dolce, all’improvviso, fare a meno delle mie fatue dolcezze,

e come la paura di perderle ormai era gioia di averle lasciate.

Perché eri Tu a cacciarle via da me, Tu vera e somma dolcezza:

le cacciavi ed entravi al loro posto,

più intenso di ogni piacere,

più chiaro di ogni luce

e più riposto di ogni segreto,

apice di ogni cosa sublime…

(S. Agostino, Confessioni, 9,1,1)

 

 

 

 

 

 

 

Commenti(2)

  1. p. Giuseppe Rombaldoni dice

    È vero, Gesù ha sbarcato tutta quella impalcatura che era sì al servizio della Liturgia del Tempio ma oggi cosa è cambiato? Le nostre chiese sono luoghi di mercato anche se abbiamo Ammantato di sacro i nostri mercati all’interno delle nostre chiese con la scusa di ricordini benedetti e quant’altro.E ora di riscoprire la preghiera e la contemplazione lasciando il mercanteggio che non ci appartiene. Buona Domenica

  2. Cinzia dice

    S. Agostino ci invita a scorgere nell’esempio della monumentale umiltà di Gesù la traccia da seguire sempre, ricostruendo ogni momento il senso pieno e autentico della nostra vita. Ecco, in questa Quaresima chiedo al Signore di non perderlo mai di vista. Perfino il riferirsi a Lui, nel mondo di fuori, desta sconcerto… e zittisce il vociare del mercato. E’ lui il punto fermo, che non ammette replica, che non si discute più, perché ha dato tutto se stesso per farsi capire. Grazie, Sorelle carissime di questa Eucarestia!

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