…Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore…» (Gv 12, 20-26).
Ringrazio quei Greci, che con il loro coraggio, con la loro sana curiosità hanno dato voce alla domanda che è anche dentro di me: «Vogliamo vedere Gesù». È la domanda delle domande.
Questo brano di vangelo mi riporta indietro nel tempo, ai miei vent’anni.
«Vogliamo vedere Gesù». Allora forse non la formulavo così, ma la mia domanda era: «Per cosa sono al mondo? In quale direzione dirigere i miei passi? E quel traguardo che abbiamo davanti, la morte, è davvero la fine di tutto? Davvero diventeremo nient’altro che «cibo per i vermi», come diceva il protagonista di un celebre film della mia giovinezza sognatrice e inquieta?
E allora: che senso avrà avuto la mia vita? Come spenderla?
«Vogliamo vedere Gesù».
Ringrazio quel “Filippo” che anch’io incontrai, e che mi ascoltò con pazienza, dando importanza al mio mondo, alle mie domande. Mi donò il suo tempo. E questo mi fece sentire amata.
Che bello: si arriva sempre a Gesù non da soli, ma aiutati da tanti “Filippo e Andrea”: in quella congiunzione, “e”, è racchiusa la comunione che fa la Chiesa, nel suo volto più genuino di fratelli e sorelle che si aiutano, si portano a vicenda, e insieme camminano verso Cristo. Ringrazio quei “Filippo e Andrea” che non si accontentarono di ascoltare le mie domande, ma mi insegnarono, con delicatezza e fermezza, a portare le mie domande a Gesù.
E così la mia vita pian piano veniva salvata… da me stessa, dal mio girare e rigirare su me stessa senza esito.
La fede non è un anestetico al dolore del vivere; e nemmeno un ansiolitico. Non è un “bene-rifugio”, quando tutti gli altri deludono, e nemmeno un ripiego. La vocazione non è un ripiego.
La fede è avventura, rischio, fatica, lotta per arrivare a disarmarsi della propria angoscia e finalmente giungere ad affidarsi…. lasciarsi fare, portare….
Ma tutto questo scaturisce dall’aver fissato
gli occhi del cuore su Gesù. Guardarlo con attenzione, senza fretta.
Considerare la sua vita.
Egli ci insegna a vivere.
A vivere e a morire.
La sapienza semplice e profonda del chicco di grano.
C’è una certa consonanza, una certa vicinanza di significato, tra questi due verbi: cadere e decidere.
Il chicco cadendo si separa dallo stelo di grano. Gesù prende ad esempio il chicco di grano che cade nel terreno per parlare di sé, della sua decisione di vivere per noi.
I Greci chiedevano di vedere Gesù; Gesù risponde che lo avrebbero visto davvero, considerando il suo stile di vita: lo stile del vivere per.
Vivere e morire non per sé, ma per tutti: perché tutti ne abbiamo vita.
«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24).
Cadere e morire, attraverso tutte le situazioni che si incontrano. C’è chi pensa che sia bene tutelarsi contro i rovesci della vita, munendosi di un opportuno “impermeabile” che non faccia trapelare il soffrire; o di una “corazza” che attutisca i colpi. Tutto quello stordimento di banalità a cui siamo di continuo esposti, mi pare abbia in fin dei conti questo intento.
Gesù insegna altro, ben altro.
Morire senza amarezza né risentimento, ma con fiducia e abbandono. Morire con Gesù.
Nelle incomprensioni; contraddizioni; incapacità a dialogare, capirsi, incontrarsi…
Nelle aridità, precarietà, incertezze;
nelle fatiche che sembrano vane e senza riscontri, senza risultato;
nell’anzianità che toglie le forze;
nella solitudine che scava dentro deserti senza arrivi e senza oasi.
Lasciarsi seminare, ancora e ancora, con Gesù.
«Vogliamo vedere Gesù».
E oggi, che ne è di questa domanda? Come risuona in me?
Non ho acquisito una “professionalità”, né maturato una risposta per ogni domanda. Mi sta stretto il cliché della monaca, esperta del sacro, che “di default” ha determinati pensieri – parole – azioni. Programmata, come una app.
Nemmeno Gesù ha mai accettato di essere rinchiuso in un cliché, di essere “dato-per-scontato”.
Continuo a camminare, anche a cadere; perfino, a volte, a non capire. Non mi sottraggo al soffrire. Ogni giorno ricomincio: mi metto dietro a Lui, scegliendo e riscegliendo Lui, con quotidiano inizio. Un quotidiano ricominciare dalla fede.
Che fatica: che la persona di Gesù non venga intrappolata e rinchiusa nelle mie emozioni “a pelle”; e nemmeno si fermi nella mia testa come un freddo, asettico ragionare. Ma raggiunga il cuore, questo fortilizio così ben munito.
«Vogliamo vedere Gesù».
La mia curiosità cresce, giorno dopo giorno. Vorrei struggentemente conoscere come Gesù guarda gli uomini, ogni uomo…
Si narra che S. Teresa d’Avila, dopo una vita tutta spesa per il Signore al quale si era interamente consacrata, una vita intensissima tra fatiche, fondazioni da intraprendere, vita monastica da riformare, comprendendo di essere vicina al traguardo finale, così si rivolse al Signore: “È ormai ora che ci vediamo!”. La sua vita, come la nostra, si era dispiegata nel velo della fede: velo che nasconde e lascia affiorare tratti, particolari, barlumi di un Volto ancora mai visto faccia a faccia…
«Vogliamo vedere Gesù».
Ma mi chiedo anche: e io, lascio vedere Gesù?
Commenti(7)
Piera Romanelli dice
17 Marzo 2018 alle 23:16Grazie,io vedo Gesù in voi,in quello che scrivete e vivete. Chiedo al Signore di poter sempre di più farlo vedere agli altri con la mia vita, la mia gioia e il mio amore per gli altri. Ancora un grazie di cuore.
Cinzia dice
18 Marzo 2018 alle 9:05Gesu’ viene trovato “turbato” da quei Greci, caricato di tutti i peccati di ogni uomo, in ogni tempo… Loro, da Greci, si aspettavano il Gesù dei miracoli, delle folle acclamati. Invece trovano un uomo fra gli uomini, che vive in prima persona la nostra debolezza. Che una monaca parli di sé, della propria ricerca, è straordinario. E come ci si ritrova grandi, nell’umilta’ di Gesù, così si scopre di essere più vicini, a chi ha scelto di seguirlo nell’esclusivita’ della vita claustrale, aspettandolo e contemplandolo da innamorato. Questa scoperta è anche un po’ come morire, per rifiorire con nuovi germogli di consapevolezza e consolazione. GRAZIE!
Cinzia e Carlo
Rosa Urso dice
18 Marzo 2018 alle 9:30” Voglio vedere Gesù ” ogni giorno abbiano la possibilità d’incontrarlo, di andare in chiesa a fargli compagnia ma gli impegni quotidiani ci fanno sempre o molto spesso rimandare questo incontro con il SS. Tante volte siamo ciechi e non lo riconosciamo nei fratelli bisognosi. Signore aiutaci ad incontrarti a vederti!
Adriana dice
18 Marzo 2018 alle 10:45Grazie per questa lettura del passo del Vangelo che ci richiama alla ricerca del volto di Gesù.Filtrata dalla Sua riflessione spirituale diventa ancora più benefica…. come quel chicco di grano.Buona domenica.
Cesare dice
18 Marzo 2018 alle 12:00Certo, Gesù ha scelto un modo molto inconsueto per farsi trovare, quasi un gioco al nascondino: la piccolezza, il nascondimento, l’annullamento, la disappropriazione di sé, nei solchi della storia. È la “piccola via”, la strada stretta per il regno, faticosa ma necessaria. È la via dell’abbandono, della solitudine, della desolazione, la cui fecondità non è sempre così evidente: occorre fidarsi della promessa che porteranno frutto. A questo “abbassamento” nella terra, nel Vangelo di oggi, fa da contrasto “l’innalzamento” della conclusione: una elevazione non per mostrarsi, per farsi vedere, per apparire, ma per attirare tutti, per creare unità. Ecco il frutto della morte di Gesù (e di ogni nostra morte che in fondo è una rinuncia se stessi e al proprio egoismo): unire l’umanità. E cosa unisce gli uomini e le donne se non l’amore reciproco? Cosa “attira” se non la bellezza della dell’amore? Grazie delle Vostre riflessioni, con tutto il cuore. Cesare
Eugenio Nastasi dice
18 Marzo 2018 alle 12:25Da Nicodemo dottore fariseo curioso di questo rabbi’ che parla come nessun degli scribi aveva mai parlato fino ai greci, a noi pagani, curiosi di vedere “questo” maestro tanto pervadente che fa venire voglia di tenergli dietro: ma l’ora è giunta, l’ora di decidersi “con questo cuore troppo ballerino” come scriveva l’indimenticabile poeta calabrese Costabile, l’ora della Croce di Cristo e di Dio Spirito e Verità , l’ora di dare un senso a tutte le nostre sconfitte e al dolore che nn ci lascia mai. Ecco il senso del chicco di grano che muore x diventare spiga, ogni giorno, ogni momento della giornata decidersi che è nell’altra faccia della sofferenza altrui che bisogna specchiarsi, per capire e capirlo e dunque seguirlo, nel suo passo dopo passo, nel suo amor donato. La Pasqua non è bella e non è santa come il suo definitivo ritorno.
Mamma di Anna dice
22 Marzo 2018 alle 20:49Grazie, grazie a questa splendida suora che ci ha donato il suo germoglio!