Nelle cose umane, la perfezione ha a che fare con una tensione: di compiutezza. Come il vasaio che, dopo aver tornito e ritornito il suo vaso, lisciandolo e togliendo difetti e imprecisioni, ad un certo punto stacca le mani. Stop, basta così, ci siamo. Il vaso è fatto. Non sarà come quei prodotti di plastica anonimi, tutti uguali, impeccabili, ma avrà raggiunto lo scopo voluto dal suo autore. Che magari, gli ha lasciato appositamente qualche imperfezione.
In fondo, ognuno di noi cerca la compiutezza. Qualche esempio?
Nessuno si sognerebbe di mangiare un pane che sia rimasto crudo all’interno;
a chiunque infondono un senso di angoscia le costruzioni non finite coi ferri che fuoriescono dai blocchi in cemento, quando si incontrano specie al Sud;
a tutti riesce fastidioso un film che si interrompa prima del finale.
C’è una perfezione che è proprio tua, vestita addosso a te: perché sa declinarsi in tanti modi quanti sono gli esseri umani.
La vera perfezione non è fredda esaminatrice di comportamenti o atteggiamenti: ha il calore delle cose genuinamente buone, vere, schiette, non contraffatte.
Agire perfettamente significa: “a regola d’arte”. In fondo la perfezione è un’arte, non una tecnica ripetitiva; ogni volta c’è da metterci qualcosa di nuovo, ulteriore, diverso e in più. Come quando un bambino deve andare a scuola e, pur essendo vestito, con lo zaino in spalla e provvisto pure della merenda, non riesce ad uscire di casa senza il bacio della mamma. Come quando c’è una ricorrenza, e non bastano gli auguri: ci vogliono anche i fiori, un abbraccio vero e pure un regalo.
La perfezione è esigente, scuote, attira e smuove. Ti mette in piedi se sei seduto, non ti lascia in pace se cerchi comodità.
Una volta i monasteri e i conventi, le case religiose in genere erano raggruppate sotto la denominazione: istituti di perfezione.
Anche oggi si entra in monastero per questo: per tendere, insieme, alla compiutezza della carità. E contagiarcela insieme, incoraggiandoci a vicenda. Con una consapevolezza: la perfezione non è esclusiva dei religiosi, ma inclusiva di tutti, perché è anche per gli sposati, per le mamme, i papà, i nonni e le nonne, addirittura per i giovani e bambini. Questo tipo di perfezione è proprio per tutti e si chiama santità.
Che bello sapere che c’è un modo di stare nelle cose concrete, di ogni giorno ad ogni età della vita, che dice tensione verso la compiutezza, cioè verso la santità.
«Per il resto, fratelli, siate gioiosi,
tendete alla perfezione,
fatevi coraggio a vicenda,
abbiate gli stessi sentimenti,
vivete in pace
e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi»
(2Cor 13, 13).
Commenti(2)
Cinzia dice
10 Settembre 2024 alle 14:33Mi fanno sempre riflettere gli avverbi, nel Vangelo, così come nelle lettere degli apostoli. Formidabile nel senso etimologico della parola è “Ultimamente” nella lettera agli Ebrei, come questa “per il resto, fratelli”, ai Corinzi. La perfezione passa anche di lì. L’immagine del fiore per l’anniversario o del bacio della mamma per la scuola sono davvero segni di perfezionamento, dal semplice “fare” al “fare per bene”, come dicevano i nostri nonni.
Grazie, Sorelle.
Giuseppe dice
14 Settembre 2024 alle 10:56“Oh, quel che amai, quel che sognai, fu invano
E sempre corsi e mai non giunsi il fine . . .”
Così, in un sonetto (Traversando la maremma toscana), scrive Giosuè Carducci nel 1885 ispirato dal panorama che osserva dal treno mentre va da Bolgheri a Castagneto. L’onda di malinconia che avvolge l’animo del poeta è grande tanto da fargli sentire la sua vita come “un’opera incompiuta”.
Questa sensazione di incompiutezza che spesso avvolge l’animo umano può essere solo sanata da una visione che ci viene suggerita da Klaus Hemmerle (teologo e filosofo tedesco, 1929-1994):
“Saggio è chi conosce il tempo. Egli sa che l’uomo non è in grado di fare e di realizzare tutto, ma che deve rispondere: rispondere a una chiamata, a un dono che gli tocca in sorte. Sa che deve proseguire la tessitura di un filo che gli viene gettato, e che ha la responsabilità di gettare a sua volta quel filo a qualcun altro.”
A noi, dunque, viene chiesto di fare in maniera “perfetta” quel tratto dell’intera opera che ci è stato assegnato e passare il testimone a chi quell’opera dovrà poi proseguire. È il Maestro a farcelo capire: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità…” (Gv 16,12-13)
Questa comunione (koinonia) d’opera fra le persone della Trinità ci fa intuire quale sia il metodo verso la perfezione: sembra quasi di capire che un’opera sia perfetta in quanto resa perfettibile!